lunedì 3 settembre 2012

The dark haired girl

Un articolo di Alessandra Daniele, pubblicato su carmilla, propone un interessante parallelo tra realtà fittizie: una quella narrata da Philip K. Dick nei suoi principali romanzi e racconti, e l'altra quella rappresentata dal mondo fallace creato dal governo dell'economia.
Prendendo a riferimento "Ubik", romanzo scritto da Philip Dick nel 1966 ed edito nel 1969, l'articolo si focalizza sull'entropia, "L'Ananke, la necessità che genera il fato al quale neanche gli dei possono sfuggire. La pietra d'angolo su cui è costruito tutto l'universo. E che ne fa un mattatoio."
L'entropia è il nemico da tenere a bada.
"Philip K.Dick ha scelto tutti i suoi nemici fra i più pericolosi. Il Nazifascismo, di cui denuncia la persistente diffusione. Il sistema di potere politico-economico USA, con la sua attitudine imperiale, la sua vocazione poliziesca. Un sistema tutt'altro che granitico, solcato da profondi conflitti interni, ma con la capacità invasiva e distruttiva d'una pandemia virale. Quel sistema che nel XXI° secolo ha già prodotto una catena di disastrose guerre neocoloniali, e una crisi economica planetaria grazie alla quale ogni giorno, mentre lavoriamo anche in agosto, i nostri sudatissimi risparmi diventano merda.
Entropia."
Tema costante nei romanzi di Philip Dick è la sensazione di realtà apparente e ingannevole, che può però essere rivelata, secondo un commento dello stesso autore, tramite "informazioni salvifiche che penetrano tra le pareti del nostro mondo grazie a un'entità dotata di personalità che rappresenta una vita - e una realtà - in grado di sostentare una forza semi-vivente" (1)
In Ubik la metafora gnostica sulla condizione umana, secondo la Daniele, è atta a spiegare l'attuale situazione. Così prosegue: "Noi siamo prigionieri e vittime, da più di vent'anni, dell' Italia di cartapesta prodotta dalla propaganda berlusconiana, uno scenario che adesso ci sta crollando addosso, mentre Berlusconi s'avvicina alla morte, politica, e cerebrale. [...] Com'è ormai evidente, il governo Monti non rappresenta il risveglio dall'incubo berlusconiano, ma solo un altro livello di quell'incubo."
I personaggi di Ubik sono quelli tipici dell'immaginario dickiano: Glen Runciter, proprietario della Runciter Associates, tiene la moglie Ella in uno stato di semi-vita grazie alla tecnologia dei protofasoni, dialoga con lei sulle sorti della compagnia, ma la vede man mano sprofondare nella morte definitiva. Joe Chip è un dipendente della Runciter Associates che conduce una vita disordinata, essendo solo e sempre al verde. Un tipo da poco, ma che poi si ergerà a protagonista delle vicende narrate.
Nella parte centrale del romanzo, Runciter, Chip, e altri, che si trovano a doversi recare sulla Luna per affari, sono attirati in un tranello dinamitardo. Si verifica un'esplosione in cui Runciter perde la vita, mentre Chip e gli altri della squadra sopravvivono e si preparano al contrattacco. E' a questo punto che Joe Chip diventa depositario di una serie di avvertimenti, scritte, messaggi, inviatigli dallo stesso Runciter,che gli rivelano la sua condizione e la reale natura del mondo in cui è imprigionato. Infatti i ruoli sono ribaltati e Runciter è l'unico sopravvissuto, mentre tutti gli altri risultano ibernati nello stato di semi-vita. Chi si credeva vivo è morto, e chi si dava per morto è vivo.
I personaggi di "Ubik", o meglio le loro menti, sono prigioniere d'una replica virtuale del mondo prodotta dalla mente d'un ragazzo schizofrenico di nome Jory, che si nutre della loro energia vitale. Questo mondo virtuale però cade a pezzi. Jory è una evidente rappresentazione del demiurgo, la divinità gnostica inferiore che si crede il vero dio e  che plasmò la caotica materia primordiale per darle forma e ordine.
"Monti stesso", continua il pezzo di Alessandra Daniele "coi suoi salassi, è in fondo l'ultima, scarnificata manifestazione dello stesso demiurgo, come lo zombie-Jory che verso la fine di Ubik azzanna Joe Chip, nel vampiresco tentativo di rubargli ancora un'ultima scintilla di vita. Jory  è il Demiurgo del mondo di obsolescenza che appare come reale fino al momento dell’anamnesi e liberazione".
Runciter - e, con lui, la moglie Ella, a interpretare il principio femminino - assurge a salvatore esterno, portando Ubik, un cosmetico esoterico che annulla l'entropia, e che rappresenta la conoscenza (la Gnosi, appunto) o, in altri termini, restituisce tramite l'anamnesi la memoria della vera natura umana, rivelando il Dio autentico, che può trovarsi nella spazzatura di una fogna, invece che in Paradiso (2).
Negli stessi termini si può paragonare a "Ubik" un altro romanzo di Philip Dick, che lo stesso autore collegava e a cui nello stesso tempo riconosceva le stringhe di un superiore grado di forza narrante: "Le tre stimmate di Palmer Eldritch", pubblicato nel 1965. Leo Bulero è un uomo energico, a capo di un'azienda, la Perky Pat Layouts, che vende ai coloni su Marte dei plastici, ambienti ideali in miniatura, in cui i coloni si possono traslare una volta assunta la droga Can-D. Concorrente di Bulero è Palmer Eldritch, un industriale che, di ritorno dal sistema solare di Proxima, si è schiantato sul pianeta Plutone. E' sopravvissuto, ma in forma più di cyborg che di uomo, essendogli stati impiantati un occhio artificiale, mano meccanica e denti d'acciaio. Porta con sé una nuova droga, il Chew-Z, che minaccia di soppiantare il Can-D, perché non occorrono plastici e il suo effetto dura tantissimo. Il mondo artificiale creato  dal Chew-Z è però una estensione della mente dello stesso Eldritch, che acquista potere divino sul mondo alternativo in cui ci si trova assumendo la droga. Barney Mayerson è un precog alle dipendenze di Bulero, che si trova a dover partire insieme ai coloni per Marte e fare esperienza della droga di Eldritch. Scopre così che i mondi illusori creati dal Chew-Z sono controllati da Eldritch e che uscirne non è affatto facile. I tratti gnostici ci sono tutti: è evidente come Eldritch sia il demiurgo, così come è facile tracciare un parallelo tra i personaggi Runciter - Chip e Bulero - Mayerson. Le stimmate di Eldritch (denti, occhio e arto artificiali) si propagano nella realtà allucinata, ma alla fine sarà proprio Bulero, ultimo eroe dell'umanità, a salvare il mondo. Nell'Esegesi lo stesso Philip Dick ricorre alle tesi gnostiche per spiegare Palmer Eldritch: "Leo Bulero che sconfigge Palmer Eldritch è il salvatore/messaggero che sconfigge il demiurgo creatore di questo illusorio mondo-prigione. Egli infrange il potere che questi ha sull'uomo" (3). Pur se Philip Dick non poteva definirsi uno gnostico, lo gnosticismo gli si adattava in maniera davvero eccellente (4).
Il modello del Cristo-Salvatore gnostico è molto diverso da quello della visione cristiana ortodossa. Secondo la teogonia gnostica il nostro mondo sarebbe infatti una costruzione cattiva e malvagia, operata da un demiurgo folle, che non sarebbe mai dovuto esistere, frutto dell'errore dell'eone (dio-primo) chiamato Sophia, che emanò senza il Cristo, suo eone partner. Così il demiurgo, credendo di essere dio lui stesso, si cimentò nella produzione di un mondo fenomenico in cui rimase intrappolata una parte del Dio Primo insieme a Sophia che, comunque, riuscì ad infondere alcune scintille spirituali nella creazione, effetto del suo potere anti-entropico. In questo vuoto di conoscenza manca il Logos, che farebbe riconoscere l'uomo in Dio, ma è presente perché imprigionato con Sophia, la Sapienza. In questo contesto si inserisce il Salvatore, per restituire all'uomo la memoria della sua vera natura. Sophia, presente come Scintilla Divina in ogni creatura,  è dunque un collante spirituale che tiene unito il mondo al suo interno, pur se occorre attendere il salvatore esterno per ottenere l'illuminazione. Esiste un altro personaggio, importante, nei due romanzi presi ad esempio, che si ritrova nella ragazza dai capelli scuri. Questa consiste in un'esperienza di primo piano nella vita dello scrittore, quando alla sua porta si presenta, per la consegna di un ordine, una giovane ragazza dai capelli scuri che porta al collo un ciondolo d'oro che spiega essere un simbolo dei cristiani delle origini. In quel mentre Dick fa un'esperienza di anamnesi (termine platonico per spiegare l'esperienza di recupero di verità eterne dal mondo delle idee) in cui si ritrova ad essere un cristiano del I secolo d.C. perseguitato dai Romani. In "Ubik" la ragazza dai capelli scuri è senza dubbio la bellissima Pat Conley, che possiede il talento di alterare il passato, mentre in "Le tre stimmate di Palmer Eldritch" è Anne Hawthorne, che interviene in uno degli pseudo-mondi per rivelare agli occupanti l'inganno. Per lo scrittore l'importanza di questo ruolo è tale che in una lettera scrisse alla sua quinta moglie Tessa, la ragazza dai capelli scuri di cui era innamorato, "tu sei la sostanza che tiene unito il mio mondo" (5).

Al termine della stesura di una tale relazione, giocoforza sintetica, cosa rimane? devo chiudere questo blog e, nel ringraziare e omaggiare chi mi ha seguito durante tutto questo tempo, lascio con una conclusione che sembra quasi aleggiare in uno stato di sospensione. Un blog nato un pò per gioco, ma soprattutto per esser libero e mai da solo, con quella poesiola che voleva fungere da introduzione e che invece ha rappresentato il succo di tutto quanto ho descritto poi. I temi, tanti, sono evidenziati nelle etichette a lato. Partendo dal paradigma della programmazione, che ha dato vita al primo racconto, ho poi nell'ordine analizzato il sogno e ho proposto un'idea per il risveglio, cercando di capire cosa fosse illusorio e cosa reale, e come dare forma di materia a quel che proviene dal mondo delle idee; poi ho studiato le forme della natura e, una volta osservate e comprese, ho affrontato la produzione di sé e come, una volta consapevoli delle proprie origini, ci possiamo permettere di dare una forma a noi stessi, per renderci noti. La trattazione, di volta in volta, di temi così complessi, mi ha visto sempre aiutato da personaggi autorevoli: fisici delle particelle, filosofi, psicologi, musicisti, registi autoriali, e spesso ho fatto parlare loro in mia vece, non sentendomi assolutamente all'altezza. Arrivato poi, recentemente, allo studio dell'identità, la propria, e della relazione, che con l'altrui identità cerca l'unione, ho capito il motivo che mi procura tante difficoltà. Il tutto, nel contesto ambientale in cui siamo immersi, anzi, che ci siamo creati, e qui ho trattato i temi di economia, che vorrei e non vorrei avere studiato; ovvero dovrei studiare ancora a fondo per poterla negare e saper accettare un nuovo ordine ambientale, una nuova economia appunto. Forse c'è già questa nuova consapevolezza: la gente inizia a essere stanca, comincia a capire di essere stata presa in giro. Purtroppo la sola consapevolezza non basta. Prima, e prima di aprire questo blog, la visione "alla Matrix" mi lasciava perplesso, ma purtroppo è vero che, se l'umanità non è una massa controllata dalle macchine, è però soggetta ai rapporti di produzione e riproduzione capitalistici, quindi è controllata dal capitale, cioè dalla classe sociale che lo rappresenta. Desidero proporre, a seguire e come conclusione, il parere della blogger Olympe de Gouges, che scrive su diciottobrumaio, e che in una sorta di eredità latente invito, anche dopo la mia chiusura, a continuare a leggere insieme agli altri blog elencati a lato. "Essere feticcio compatibile è anzitutto una forma della coscienza, anzi la sua forma inconscia per eccellenza, la sua forma automatica. Un individuo incarcerato tra le sbarre dei codici ideologici dominanti, il cui comportamento risponde per ciascun rapporto sociale, è portato a negare di esserne prigioniero. Sono chiamati inconsapevolmente a realizzare un programma che è stato introdotto in loro stessi, a eseguirlo inconsciamente e automaticamente tanto da ritenere l’apparenza della realtà, vale a dire il carattere feticistico del mondo, come il solo reale. Si tratta di quella che Marx chiamava la “comunità illusoria”, il cui prodotto genuino è la “coscienza illusoria di sé”. Non deve quindi stupire che molti soggetti vivano il problema della propria identità e si creino frequentemente dei cortocircuiti dei quali s’interessano le pseudoscienze borghesi, a incominciare dalla psicoanalisi."
Non saprei dire di più, e forse è meglio così. Voglio rilevare, avvicinandomi al finale, che nello scrivere quest'ultimo post ho proposto una singolare interpretazione su di un autore che poco si confà a qualunque interpretazione. Credo che Philip Dick vedesse i suoi racconti come un viaggio dello spirito, senza alcuna valenza materiale, e noi siamo troppo abituati a dare significato alle cose materiali. Le mie ricerche, gli studi compiuti per gli argomenti che si sono qui succeduti, hanno acceso la mia curiosità, e spero anche quella dei lettori, senza per questo pretendere di trovare una definitiva soluzione. Ma siccome lo spirito critico di questo blog, che adesso si spegne, deve restare vivo, aggiungo solo un'idea, una soluzione vivificatrice, che prevede di accettare l'integrazione nella realtà che vediamo, ma sempre in modo critico: consumiamo pure per sopravvivere ma, se vogliamo vivere,  vediamo di essere anche capaci di cogliere beni inconsumabili, i beni relazionali.
A tutti quanti mi hanno seguito e letto va un abbraccio grande e tutto il mio affetto.



(1) Esegesi 032 (1977)
(2) Esegesi 014 (1978)
(3) Esegesi 021 (1978). Esegesi è il titolo degli scritti autografi di Dick composti a partire dal 1974, appena dopo le esperienze allucinatorie "2-3-74"; è un lavoro imponente,di oltre ottomila cartelle, non ancora pubblicato integralmente.
(4) Sutin L., "Divine invasioni: la vita di Philip K. Dick", Fanucci 2001
(5) Le lettere d'amore di Phil alle sue molte fiamme, di cui cinque divennero mogli, si trovano nella raccolta "The dark haired girl", 1988




venerdì 18 maggio 2012

Economia e relazioni (2 - L'istinto del gregge)



La qualifica più comune di chi fa previsioni in campo economico consiste non già nel sapere, ma nel non sapere di non sapere, J.K.Galbraith

Mai come in questo periodo le discussioni in tema di economia sono state così popolari. Termini tecnicistici come spread, rating, finanza derivata, sono sulla bocca di tutti, e chi ne parla è reso soddisfatto dal figurarsi esperto ed informato. In effetti, gli organi d'informazione offrono la loro buona parte nella divulgazione, la crisi economica è generalizzata e coinvolge tutti. Ma è proprio vero che chi ne parla ci capisce qualcosa? Divulgare la notizia è facile, niente di più semplice del replicare l'opinione del giornalista o esperto di turno, ma quando si tratta di definire i contorni di cosa si sta parlando, il compito diventa tutt'altro che agevole. Ciò che preoccupa è lo stereotipo, che permette di dire senza sapere.
Protestiamo, proviamo a ribellarci, ma restiamo convinti che è meglio continuare a galleggiare, in preda alla tempesta dei mercati, mentre abbiamo demandato ad altri il compito di tenere a galla la zattera, perché ci dicono che prima o poi le acque torneranno a calmarsi. Così è stato in passato, ed ogni volta che vengono trovati gli antidoti alle crisi si è certi che non si ripeterà mai più, mentre ben si sa che la storia si ripete e infatti la crisi si è replicata ma, questa, in forma molto più virulenta. La gravissima crisi di oggi è dovuta ad una serie di errori imperdonabili, commessi anche da economisti illustri, su cui si stende un velo di silenzio. Si dice dunque che sono stati commessi errori, ma non si dice da chi. Le cause sono profonde, e soprattutto vi è stata la preponderanza del mercato finanziario sul mercato dei beni reali. Nato inizialmente per il bene comune, il mercato è diventato il luogo in cui si è dato sfogo a passioni umane delle più perverse, quali l'avidità e l'avarizia. Questo noi lo sappiamo, ma continuiamo a fidarci del mercato così come lo conosciamo e ci consoliamo in questo sistema di falsa democrazia. Abbandonarlo equivarrebbe infatti a perdere comodi punti di riferimento, tanto cari e facili. L'uomo se le tiene ben strette, le sue sicurezze, e se non gli piacciono se le fa piacere. Ecco perché non anela ad un reale cambiamento. L'inganno è sempre in agguato e viene chiamato istinto del gregge.

Per Nietzsche l'istinto del gregge è stato all'origine della morale: in risposta ai dibattiti seguenti alla pubblicazione de "L'origine della specie" di Darwin, egli individua nella morale il problema alla radice dell'autocontraddizione moderna. Gli uomini ne hanno bisogno per poter vivere insieme senza paura reciproca, ma l'individuo in se stesso, nella sua autonomia e nella sua libertà viene negato, cancellato in funzione del gregge e del suo organizzarsi istituzionale.

"Laddove ci imbattiamo in una morale, ivi troviamo una valutazione e una gerarchia degli istinti e delle azioni umane. Queste valutazioni e gerarchie sono sempre l'espressione dei bisogni di una comunità e di un gregge: ciò che ad esso risulta utile in primo luogo - e in secondo e terzo luogo- questo è anche la suprema norma di valore per tutti i singoli. Con la morale, il singolo viene educato a essere funzione del gregge e ad attribuirsi valore solo come funzione. Poiché le condizioni della conservazione di una comunità sono state molto diverse da quelle valide per un'altra comunità, ci furono  molte e diverse morali; e, relativamente alle imminenti trasformazioni essenziali dei greggi e delle comunità degli stati e delle società, si può profetizzare che vi saranno ancora morali molto differenti. La moralità è l'istinto del gregge nel singolo" (F.Nietzsche, "La Gaia Scienza", III, 116)

Dunque, riconoscendosi nella specie, l'uomo accetta l'autosottomissione pur di potersi conservare. Sottomissione e impulso di conservazione, ma d'altro canto abbiamo il livellamento alla media dettato dall'economia del bisogno. La specie è quella modalità di autorappresentazione dell'esistenza umana frutto di un estremo depotenziamento e perciò stesso è l'espressione del debole animale autoconservantesi. (G.A.Di Marco, "Marx, Nietzsche, Weber. Gli ideali ascetici tra critica genealogia comprensione")

Possiamo liberarci dai condizionamenti? Quel che ci viene detto è qualcosa che sentono gli altri, così la persona ha la parvenza di fare la cosa giusta semplicemente perché tutte le persone intorno lo dicono. L'umanità così conglobata, in definitiva, è incapace di gestire se stessa.
Occorrerebbe trovare dentro di sé i principi naturali di giustizia, che sono propri, geneticamente, dell'essere umano, e tirarli fuori. La saggezza è antica e il verbo fondamentale è il latino educĕre (cioè "trarre fuori, "tirar fuori" o "tirar fuori ciò che sta dentro"), da cui "educare", che dovrebbe essere un processo di aiuto alla persona a compiere un cammino e recuperare la propria identità. Tutto è già contenuto nell'essere umano. Demandando le decisioni, attribuiamo ad altri un potere ingiusto, che cerca di giustificare cose che noi aborriamo se davvero cerchiamo pace, giustizia e verità.


Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,

Dante,Par,V

martedì 24 aprile 2012

Economia e relazioni (1 - Homo homini lupus)


In questa intervista parla Stefano Zamagni, economista, presidente dell'Agenzia per il terzo settore, nonché autore del libro di testo su cui preparai il mio esame universitario di Economia I.
Si può dire, in accordo con il prof. Zamagni, che quella che lui chiama "economia civile" (economia di mercato non capitalista) nacque in seno all'Umanesimo, che si sviluppò in Italia nella prima metà del Quattrocento. All'Umanesimo sono normalmente associati due elementi base: la riscoperta della cultura classica e la necessità del vivere civile per l'attuazione di una vita pienamente umana. Lo storico Jacques Le Goff nega esplicitamente che l'economia del medioevo possedesse tratti di natura capitalistica: "Nel Medioevo l'economia non occupa uno spazio autonomo e addirittura dominante nella società. Essa è inclusa nella società. Se c'è uno spazio economico, è quello del dono, non quello del profitto" (1)
C'è da chiedersi se questa economia civile poté svilupparsi su basi realmente etiche o non fu piuttosto il risultato della situazione politica italiana, a cui mancava il fattore decisivo di potersi organizzare come stato unitario (2). Si trattò comunque di una concezione dell'economia che si collocava in una prospettiva radicalmente diversa da quella che caratterizza il nostro vivere odierno, dominato da un'economia che si basa sui due capisaldi dell'efficienza ed equità, dati rispettivamente dal principio dello scambio di equivalenti e dal principio di redistribuzione. Dominati come
siamo da un'economia neoliberista, non ci discostiamo più di tanto dal pensiero economico dell'ottocento, che prevedeva che le leggi economiche seguissero, come le leggi naturali, un ordine
prestabilito. E' questo un mondo che richiama le leggi di natura, la legge della giungla, compiendo così un caso di degenerazione del mercato, che da civile si trasforma in mercato darwiniano, un mercato cioè che esclude.
In tale contesto possiamo collocare il concetto forzoso chiamato "darwinismo sociale": una teoria che vorrebbe legittimare lo sfruttamento utilizzando, in maniera parziale e distorta, concetti scientifici propri del darwinismo. E' questa una tesi che attribuire a Darwin darebbe luogo ad equivoci, dato che fu invece proposta e sviluppata da Herbert Spencer, in un intento di fusione della teoria evoluzionista con una visione sociologica organicistica che prendeva le mosse da Auguste Comte (3). Si può comprendere come in nome di questa concezione si ottiene l'effetto di occultare responsabilità sociali e politiche dichiarando ineliminabili, in nome di una naturalità presunta, le numerose piaghe sociali.
Si tratta di una evidente fola ad uso e consumo dello sfruttamento, e lo stesso Marx, in una lettera a Friedrich Engels, scrive: "È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società inglese con la sua divisione del lavoro, laconcorrenza, l'apertura di nuovi mercati, le "invenzioni" e lamalthusiana "lotta per l'esistenza". È il bellum omnium contra omnes di Hobbes."
Un dibattito critico è d'obbligo, e nell'ambito di un confronto dialettico cito anche Engels, il quale espresse la resistenza che le scienze sociali manifestano nei confronti dell'approccio naturalistico alla questione dell'uomo cioè la preoccupazione di naturalizzare fenomeni sociali. Nell'opera di Engels "Dialettica della Natura" si legge tra l'altro: "La differenza sostanziale tra la società umana e quella animale è data dal fatto che gli animali al più raccolgono, mentre gli uomini producono. Questa unica, ma enorme differenza rende, da sola, impossibile l’immediata trasposizione delle leggi delle società animali in quelle umane"


(1) J.Le Goff, "Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo", Laterza 2010
(2) cfr. G. Ruffolo, "Testa e croce. Una breve storia della moneta", Einaudi 2011
(3) ideatore di una divisione delle scienze che tenesse conto del "principio della complessità crescente e della semplicità decrescente", per cui nella scala della complessità la sociologia
(scienza che si occupa degli organismi sociali) sta un gradino sopra la biologia (che si occupa degli organismi naturali)

sabato 3 marzo 2012

Millennium (incipit)



« We come from the land of the ice and snow!
From the midnight sun where the hot springs blow...
The hammer of the Gods...will drive our ships to new lands...
To fight the horde, singing and crying: Valhalla, I am coming! »
(J.Page/R.Plant, Immigrant Song )

venerdì 6 gennaio 2012

Discorso sulle relazioni

In una scena di "A dangerous method", film del 2011 diretto da David Cronenberg, Carl Gustav Jung e l'allora sua paziente Sabine Spielrein si confidano di amare Wagner e in particolare il mito dell'Anello del Nibelungo. Il mito e la realtà si intrecciano in quanto Sabine, che ha subito la violenza paterna, parte dalla vicenda di Siegmund e dall'amore incestuoso che lo unisce alla sorella Sieglinde per delineare la sua teoria psicanalitica e provare che dal negativo, perfino da un incesto, può nascere il positivo e che la sessualità è una sublimazione, un annullamento, una distruzione di sé nell'altro. Per questo amore e morte sono collegati, come spiegherà poi a Freud, che l'aiuterà a guarire dagli eccessi d'isteria, ma non dal dolore provocato dall'amore impossibile tra lei e Jung. Si può considerare una ulteriore coincidenza il nome del padre della psicanalisi, Sigmund, che somiglia al protagonista del secondo dramma della tetralogia. Anche quello tra Siegmund e Sieglinde, per quanto appaia purissimo, così com'è sublimato dalle note di Wagner, è un amore che non ha scampo. La concezione dell'amore fatale è tipica del mondo occidentale: dalle tematiche dell'amor cortese, la teoria del fol'amor (amore-passione) è stata trattata a più riprese, passando per i romantici e fino ai giorni nostri. Ciò che inizialmente appare l'incarnazione di un amore ideale va poi a inscenare situazioni che rendono impossibile il suo sostenimento, andando a sfociare in una condanna all'infelicità per i due amanti (esempi possono essere quello di Romeo e Giulietta, o quello di Tristano e Isotta, anch'esso musicato magistralmente da Wagner e, a proposito, qui di seguito il "Liebestod", canto d'amore e morte, climax dell'opera.



A questa visione sembra estranea la concezione dell'amore nel resto del mondo, specialmente quella orientale, che si propone di vivere l'amore liberamente. Ma leggendo il brano di Osho riportato di seguito, ci si accorge come la teoria dell'annullamento del sé nell'altro, e quindi della morte nell'amore, sia presente anche nella cultura orientale.

"Il Tantra invece afferma che il sesso offre un istante di assenza dell'ego, di assenza di tempo, un istante di meditazione...E' una sorta di fusione con l'altro, di pacificazione nell'essere dell'altro. E questo è un bagliore di Dio: il Tantra è la via naturale verso Dio, è la normale via che conduce a Dio. La meta è divenire *follemente folli*, sino a fondersi con la Natura suprema: la Donna scompare in quanto donna e diviene una soglia sull'assoluto, l'Uomo scompare in quanto uomo e diviene una soglia sull'assoluto."
Osho, da "L'amore nel Tantra"

Tornando al mito di Edipo, anch'esso come noto legato alla psicanalisi, si riparte dal concetto di identità. La razionalità di Edipo ha sconfitto la Sfinge che simbolizza - ricordiamo - il principio femminile, l'amore primordiale, dal linguaggio enigmatico perché puramente sessuale. Sciogliendo l'enigma della Sfinge, Edipo ha superato i vincoli della natura, emergendo come essere autocosciente e separando il singolo dal tutto. Come si sa, nel prosieguo della tragedia egli sperimenterà su se stesso l'esito catastrofico di tale atto di arroganza e non saprà più chi è, divenendo figlio, marito e padre nello stesso tempo. Nella visione di Nietzsche (La nascita della tragedia dallo spirito della musica, 1872), è vero che Edipo distrugge ogni legge naturale e morale, ma "da questo suo agire viene tracciato un superiore magico cerchio di effetti, che fondano un nuovo mondo sulle rovine di quello vecchio crollato", e ciò per l'equilibrio dialettico, che è presente nello spirito greco, tra "apollineo" e "dionisiaco"(1) (per Freud potrebbero chiamarsi "Io" ed "Es"). La morte della Sfinge può essere vista come la sconfitta dello spirito misterioso dell'Oriente per mano della razionalità occidentale (L'opera "Oidípus týrannos" è scritta da Sofocle tra il 430 e il 420 a.C. circa, dunque successivamente alle guerre persiane).
Questo eccesso razionalistico però (sempre secondo Nietzsche) avrebbe portato a una degenerazione della nostra società, della sua capacità creativa, del suo rapporto con la conoscenza e con la vita; l'auspicio (in conclusione del testo, che è la prima opera matura del filosofo di Röcken) è un rinnovamento dello spirito europeo tramite la rinascita dello spirito dionisiaco nella musica tedesca, in particolare quella di Wagner.(2)
Il cerchio si chiude: la musica, un pensiero meditativo e uno sguardo attento alla psicanalisi fanno pensare che questo spirito perduto si possa "portare in Occidente" una volta liberatisi dei tabù imposti dalla morale borghese o dalla religione.

Non mi si dica ora che pretendo di ribaltare la storia, né è mio intendimento rinunciare alla ragione. La stessa preponderanza dell'ego sull'inconscio non deve essere soggiogata. Una corretta interpretazione Zen del brano di Osho risolve che non si deve annullare qualcosa, ma vivificare il tutto, cambiando prospettiva di vita, dalla visione riduttiva del nostro ego a una visione universale, che porta a vivere ogni cosa della vita con un'intensità sempre crescente.

1 - Spirito apollineo e spirito dionisiaco sono concetti introdotti da Nietzsche ne "La nascita della tragedia", come antitesi tra Apollo e Dioniso. Mentre il primo indica la "ratio" umana che porta equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali, il riferimento a Dioniso è relativo alla immagine mitologica dell'impulso vitale, della creatività, del desiderio colto nel suo aspetto più produttivo e pre-razionale. Il confronto dialettico tra i due spiriti fa sì che la bellezza delle forme classiche sia la reazione alla virilità del dionisiaco pago di sé, ciò che permise all'uomo greco, fondamentalmente pessimista, di sopportare l'esistenza.

2 - «Amici miei, voi che credete nella musica dionisiaca, sapete anche che cosa significhi per noi la tragedia. In essa noi abbiamo, rinato dalla musica, il mito tragico — e in questo potete sperare tutto e dimenticare ciò che è più doloroso!» (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, ed. Adelphi - cap. 24)
Occorre precisare che l'iniziale ammirazione del filosofo per Wagner, confermata anche nel saggio "Richard Wagner a Bayereuth" del 1876, si tramuterà poi in avversione in quanto ravvisò, nell'opera del musicista, il tentativo di utilizzare la musica come "mezzo per raggiungere quello scopo più alto che era il dramma", privandola di quella pura manifestazione dello spirito dionisiaco e rivelando così nuovamente i sintomi della decadenza morale dell'Occidente.

Tu sei l'immagine che in me nascondevo.



Nel ruscello io scorsi
la mia propria immagine
ed ora nuovamente la scorgo:
come un giorno ella emerse dallo stagno,
così tu oggi l'immagine mia rimandi!

R.Wagner, "Die Walküre", Atto I scena 3^, Sieglinde a Siegmund