giovedì 28 gennaio 2010

Avatar

2 commenti:

Fabio ha detto...

La lettura di un film come "Avatar" deve giocoforza passare attraverso due piani di critica. Appena entrati nella sala ci si accinge ad uno sguardo "dal di fuori", in veste di spettatore, la cui vista è intermediata dalle lenti degli occhiali 3D, ma poi si passa ad una dimensione che permette di guardare "al di dentro", luogo in cui quegli stessi occhialini proiettano, creando una sensazione di avvolgimento in un'incredibile quantità di colori, di fondali, di oggetti animati, tutti elaborati dalla meraviglia degli effetti speciali del 3D IMAX. Lo stesso cambio di sguardo, che rende gli spettatori estremamente partecipi al film, costringe però gli stessi a ribaltare concettualmente il piano di analisi, in quanto "dentro" il film ci si rende conto della banalità e della modestia della struttura narrativa, mentre tornando al proprio ruolo - di spettatore neutrale appunto - si può godere appieno dell'efficacia della componente visiva, che risulta essere il punto di forza - gigantesco - di quest'opera. Uno sdoppiamento di ruolo che fa pensare ad uno degli spunti più interessanti di "Avatar", quando emerge il momento di confusione mentale in cui il marine Jake Sully si chiede se sia proprio lui a risvegliarsi nei panni dell'avatar al principio del sogno o non sia forse il contrario.
Provo allora a proporre il mio punto di vista di spettatore sognante, descrivendo tutto ciò che mi è piaciuto, per poi operare una ragionevole critica all'impianto narrativo del film, che non mi è piaciuto.
Innanzitutto, il pianeta Pandora: una festa per gli occhi, perché ci si ritrova in un paesaggio ricco di suggestioni, che affondano le radici nel proprio universo fantastico, evidente frutto di una memoria primordiale ancora non sopita. Già, perché il paesaggio di Pandora si può benissimo assimilare a ciò che può essere stata una Terra primitiva. Si aggiunge inoltre una componente fantastica che dona limpida luminosità ad un rigoglioso mondo vegetale, vivo e reattivo.
Gli abitanti di Pandora, i Na’vi, secondo me sono fatti benissimo: dalle movenze feline e con gli occhi da gatto, forniscono espressioni altamente emozionali. Si connettono individualmente con gli altri esseri viventi e, tramite i filamenti luminescenti dell'albero sacro, con il Tutto. E' questo una sorta di sistema nervoso collettivo, una conoscenza allargata che si dimostra superiore alle conquiste di una archeologia robotica. Anche qui lo spettatore riesce a rispecchiarsi, ritrovando nel futuro la dimensione di una specie umana appartenuta al passato della Terra e immaginando che la vita del passato possa diventare una ipotetica condizione del futuro.
Come già si può notare, in questi stessi temi che ho descritto con tratti marcatamente sognanti è contenuta la critica al film, e cioè che lo stesso fornisce sensazioni già vissute tante altre volte in tante altre precedenti realizzazioni. Il sogno (non tutto è come sembra), il paesaggio (i capolavori Disney e Miyazaki già proponevano sfondi da favola), il soggetto (i nativi che vivono a stretto contatto con la natura in una dimensione panteistica). Temi interessantissimi, ma che rientrano in un tessuto narrativo abbastanza semplice e lineare, senza scatti emozionali tangibili, semplice collage di situazioni standardizzate e frammentate.

Fabio ha detto...

La versione da 162' scorre via leggera e senza cali di tensione, ma a volte la trama sembra rincorrersi per affrettare gli eventi e giungere al "dunque", che comunque è già noto. L'espediente narrativo della repentina uscita di scena di Sully nelle vesti di avatar, che conduce al viaggio nella giungla, mi sembra deboluccio e soprattutto poco originale, quando si vede precipitare in acqua inseguito da un palulukan (spaventoso predatore, via di mezzo tra una pantera e un T-rex).
Il cammino iniziatico dello straniero che si adatta ai costumi indigeni, per diventare uno di loro e combattere i cattivi è un soggetto logoro, tanto più se condito da dialoghi "come da copione" hollywoodiano. Non si possiede nulla, si sceglie e si è scelti, e così come nasce da una combinazione l'amicizia che lega un Na'vi al compagno ikran (animale volante che vive sulle montagne), anche l'amore non nasce dalla volontà di possesso ma dalla capacità di "vedere" l'esistenza dell'altro. Tutti pensieri bellissimi, peccato che siano proposti da personaggi privi di uno spessore convincente e che probabilmente non lasceranno ricordo, consentendo che questo importante messaggio venga ancora tramandato per bocca di più solidi predecessori.
Dopo tutto, cosa rimane? non si può dire se questo film farà la storia del cinema, ma sicuramente è una tappa importante. Performance capture, virtual camera, Fusion Camera System 3D, sono i punti di svolta tecnologici, che verranno spesso sfoderati come motivo dominante dalle case produttrici. Proprio per questa caratteristica innovativa dal punto di vista delle immagini, ritengo che non sia giusto paragonare "Avatar" ad altri film, perché un film così non si era ancora "visto" e la sua originalità sta proprio nel modo di "vederlo". Dal punto di vista della sceneggiatura perderebbe il confronto. E' banale dire che sono stati realizzati film più belli di "Avatar" sullo stesso tema, che i registi hanno proposto ben altri e stupefacenti colpi di genio di cui James Cameron è carente. Non inventa nulla, dal punto di vista delle idee: la teoria di Gaia è ben nota a tutti e se la Madre Terra è chiamata con un altro nome – Eywa - ben venga. La cosa tragica non è continuare a dire cose già dette, ma il fatto che troviamo necessario dovercele ripetere: evidentemente non riusciamo a cogliere una formula risolutiva perché protraendo il nostro comportamento autolesionista, procrastinando il nostro risveglio, continuiamo a fare "ciò che non vogliamo".

Visto ieri al Multiplex: voto ***