Alëša entrò nell'ufficio del capo: «Voleva vedermi, ingegnere?»
Il responsabile della produzione, un uomo sulla quarantina un po' grassoccio, dal viso rotondo che non aveva nulla di notevole tranne un'ampia fronte spaziosa, lo ricevette cordialmente. «Gradisce un aperitivo?» gli chiese, mentre estraeva dal digital-frigo due bottigliette tronco coniche dal caratteristico design mai mutato negli anni, il che rivelava come quel manager di un'azienda tanto futuristica ci tenesse a conservare le tradizioni.
«Sì, grazie! Con ghiaccio.» I 10 cl. della rossa bevanda colmarono i rispettivi bicchieri.
Una volta brindato all'incontro, l'ingegnere non perse poi tempo a delineare i termini del motivo per cui lo aveva convocato.
«Sono stati fatti grandi passi avanti in questi mesi, grazie alle risorse che tutti abbiamo impiegato nel progetto. Il sentimento d'amore fa ora parte della personalità dei robot che produciamo. Alcune unità di produzione sono già state consegnate e per un po' funzionano alla perfezione.»
«Per un po'?» intervenne Alëša.
«Sì, solo per un po', perché è vero che riescono ad instaurarsi relazioni tra umani e robot, però queste durano non più di qualche settimana»
«E poi?» chiese ingenuo Alëša che a seguito dell'isolamento nella baita sembrava divenuto estraneo ad ogni discorso imperniato sulla realtà quotidiana, figuriamoci per quel che poteva riguardare anche solo frammenti di discorso amoroso.
«E poi, e poi... finiscono nella pattumiera. Regolarmente l'androide o, più spesso, il ginoide, prendono e se ne vanno, lasciando il loro partner umano nella disperazione totale, peggiorando quindi la sua situazione, già penosa, che l'aveva portato alla richiesta di un robot di compagnia.»
«Non ero a conoscenza di questa situazione, ingegnere»
«No, non poteva esserlo infatti. Lei e la sua collega Sonja Ivànovna avete fatto un lavoro eccellente. Credo però che ora viviate un po' troppo isolati. Ciò è stato un bene finché il vostro lavoro doveva essere tutelato sotto un certo aspetto di privacy, ma ora che la robotica sta entrando prepotentemente nella vita quotidiana è giusto che entrambi vi caliate di più nella realtà. Credo che un vostro trasferimento avverrà prossimamente. Intanto ho pensato, per lo studio del problema di cui le parlavo, di affiancarle un aiutante.»
La novità stupì non poco Alëša, ormai abituato a lavorare braccio a braccio con Sonja. «Bè, non so come la prenderà Sonja»
«Le parlerò io, se preferisce»
«No, ingegnere». Tirò un profondo respiro. «Mi dica pure chi è il mio collaboratore»
«Passo subito alla presentazione». Spingendo un pulsante del telecomando che aveva sul tavolo, l'ingegnere attivò l'apertura della porta. «Ho il piacere di presentarle Daniela G. Olivetti.»
Appena la porta si aprì, Alëša non prestò più attenzione all'ingegnere e rimase inchiodato a guardare la donna che era entrata. Aveva capelli neri, lunghi fino alle spalle, e occhi azzurri. Indossava un paio di pantaloni attillati che scendevano fino al ginocchio e mettevano in evidenza la curva delle natiche; sopra, una guaina in spumite fosforescente cingeva e rivelava bei seni floridi e le lasciava scoperto un ventre piatto e dai contorni definiti. La bella linea degli occhi era tracciata da un lieve tocco di matita, mentre le palpebre erano sfumate di rosa; il resto del viso era di un candore lunare. Bellissima, e la sua aria severa e distaccata le conferiva quel tono di mistero che tanto lo affascinava.
L'ingegnere colse l'espressione inebetita del suo collega e lo scosse con un braccio: «Che bruna, eh?Uno schianto!»
L'aria stupita di Alëša, sorpreso di sentire un tale apprezzamento in presenza della ragazza, lo indusse a fare una precisazione. «Ah, come avrà capito, la G. sta per Ginoide.»
3 - continua
Non abbiamo tutto quello che vogliamo?
16 ore fa
3 commenti:
Delizioso.
Grazie!
Questo capitolo è breve e di transizione, ma importante per definire il tema trattato in questi racconti, che sono ovviamente di fantascienza, ma che vogliono insinuare il dubbio della domanda se il futuro in cui è ambientata la fantascienza non sia già avvenuto in passato (scusate se mi ripeto).
Un primo omaggio è stato fatto al Futurismo e in specie al pittore futurista Fortunato Depero e non a caso i fatti si svolgono in Trentino, che attualmente è una regione all'avanguardia. In ciò trova la ragion d'essere la scena, apparentemente insignificante, dell'aperitivo: il design delle caratteristiche bottigliette di Campari soda (passione rossa), con cui i due brindano, è opera proprio di Depero e risale al 1932. Al tempo in cui è ambientato il racconto è dunque un'opera centenaria, ma ancora attuale.
Il secondo omaggio è per il grande scrittore Isaac Asimov, ai cui romanzi mi sono ispirato per stendere questa seconda parte della saga. Il nome del ginoide Daniela G. Olivetti prende spunto dal personaggio che lega una serie di romanzi, dal ciclo dei robot alla saga della fondazione, cioè R. Daneel Olivaw, dove la R. sta per Robot.
Ad oggi, qualsiasi fatto richiami il sistema comunicativo e il gusto estetico del futurismo, manifesto, azione artistica, proclama, etc etc, è per forza di cose conservatore. Da quest'anno, ovvero dal centenario della sua fondazione, le azioni, i proclami, i manifesti che si rifanno direttamente o indirettamente all'avanguardia sono spuntati tristemente come funghi. Ma quale avanguardia nasce su stilemi e approci di cent'anni prima? Lasciamo stare il fatto che quello di FT resta un messaggio ancora attualissimo, ma i modi, la comunicazione, la fruizione e l'originalità sono quelli dei bisnonni. Nessuno oggi crea più nulla di nuovo, basta avere il packaging formale che proclama di rompere i sistemi, gli schemi, il passatismo che ecco, nascono nuovi futuristi. Sembra una barzelletta, o ancor peggio una beffa per chi lo fu davvero. Bisognerebbe informare questa bella gioventù d'oggi che il contenuto si crea la sua propria forma. Ma chi ha più sufficiente estro per intraprendere un progetto del genere?
Caro Filippo Tommaso, le accademie hanno stravinto e i giovani, be', non son più in grado di capire che dovrebbero abbandonare il loro caro minimo sforzo che tu, da futurista, tanto deprecavi. Futurista oggi sarebbe uccidere il futurismo, trovarne l'antidoto, spazzarlo via. Marinetti, son sicura, applaudirebbe.
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