Così vicina è la libertà,eppur così lontana. "Freedom" fu un pezzo improvvisato da Richie Havens, l'artista che aprì il festival di Woodstock, una volta esaurito il suo repertorio quando, suonando la chitarra, si mise a ripetere la parola "freedom". Di immagini del concerto più famoso della storia non vi è traccia, però, in questo film di Ang Lee ispirato all'autobiografia di Elliot Tiber, che gestiva, insieme ai genitori, un motel vicino al luogo del concerto. Sembra così vicina la collina di Bethel eppure Elliot non riesce a raggiungerla se non a concerto terminato, non tanto per l'incredibile calca di persone e auto parcheggiate lungo il tragitto, quanto per una sua differente ricerca: vuol provare a cambiare le carte della sua vita ed insegue quel sogno di libertà dall'esito incerto per cui riesce solo a sfiorare quello che per tre giorni è stato il "centro dell'universo". Impegnato con l'organizzazione della festa e nella gestione del motel, durante l'unico giorno libero per assistere al grande evento preferisce mischiarsi agli hippie incontrati lungo la strada, sperimentando una propria liberazione interiore in un cammino iniziatico che prevede anche l'uso degli acidi, assaporando un tipo di libertà che lo dovrà portare a capire se stesso e il rapporto con la sua vita. Il concerto, per lui come per molti altri, appare come un elemento accessorio: si ode solo in lontananza l'eco della musica, mentre ben presente appare il senso di comunità, di amicizia e fratellanza che si respirava in quei giorni. Cosa rimane in conclusione? per il regista di Taiwan poco o nulla, per come inquadra il campo pieno di rifiuti (il problema dello smaltimento dei rifiuti post-concerto risuona spesso durante il film come un tormentone), ricoperto di fango in cui i ragazzi si rotolano, dalle parvenze di un campo di battaglia (riferimenti al Vietnam ce ne sono, e numerosi). Questa Woodstock sembra così perdere tutta l'importanza sociale che ha avuto, perché all'epoca i giovani che accorsero a Woodstock credevano davvero che si potesse cambiare la società in maniera pacifica, con la partecipazione. Ai giorni nostri sembra impossibile ripetere un evento del genere ed in effetti la Woodstock che qui è rappresentata ci appare lontana.
Visto domenica al cinema Loreto: voto ***. L'atmosfera è rasserenanate e la costruzione per un pò funziona, ma non si capisce dove il regista vuole andare a parare, per come mostra un avvenimento epocale, racchiuso da eventi altrettanto storici, vissuto da persone che hanno solo voglia di sballarsi. Il protagonista, nei 120 minuti di pellicola, non sviluppa una propria personalità, nemmeno al termine di quel viaggio che si è sentito nella necessità di intraprendere. I coprotagonisti si esprimono invece con brio e gli scambi di battute sono vivaci. E' un film divertente, anche se verso la metà della seconda parte si perde un pò nella noia. Capita, quando il fulcro della storia è incentrato sulle pratiche burocratiche e organizzative per cui sono abili i ragionieri. Una migliore attuazione avrebbe potuto realizzarsi dando più spazio alle basi filosofiche che hanno sostenuto il festival perché, in fin dei conti, di materia ce n'era tanta, ma non è stata usata sapientemente.
1 commento:
Così vicina è la libertà,eppur così lontana.
"Freedom" fu un pezzo improvvisato da Richie Havens, l'artista che aprì il festival di Woodstock, una volta esaurito il suo repertorio quando, suonando la chitarra, si mise a ripetere la parola "freedom". Di immagini del concerto più famoso della storia non vi è traccia, però, in questo film di Ang Lee ispirato all'autobiografia di Elliot Tiber, che gestiva, insieme ai genitori, un motel vicino al luogo del concerto.
Sembra così vicina la collina di Bethel eppure Elliot non riesce a raggiungerla se non a concerto terminato, non tanto per
l'incredibile calca di persone e
auto parcheggiate lungo il tragitto, quanto per una sua differente ricerca: vuol provare a cambiare le carte della sua vita ed insegue quel sogno di libertà
dall'esito incerto per cui riesce solo a sfiorare quello che per tre giorni è stato il "centro dell'universo". Impegnato con
l'organizzazione della festa e
nella gestione del motel, durante l'unico giorno libero per assistere al grande evento preferisce mischiarsi agli hippie
incontrati lungo la strada,
sperimentando una propria liberazione interiore in un cammino iniziatico che prevede anche l'uso degli acidi, assaporando un tipo di libertà che lo dovrà portare a capire se stesso e il rapporto con la sua vita. Il concerto, per lui come per molti altri, appare come un elemento accessorio: si ode solo in lontananza l'eco della musica, mentre ben presente appare il senso di comunità, di amicizia e fratellanza che si respirava in quei giorni. Cosa rimane in conclusione? per il regista di Taiwan poco o nulla, per come inquadra il campo pieno di rifiuti (il problema dello smaltimento dei rifiuti post-concerto risuona
spesso durante il film come un tormentone), ricoperto di fango in cui i ragazzi si rotolano, dalle parvenze di un campo di battaglia (riferimenti al Vietnam ce ne sono, e numerosi). Questa Woodstock sembra così perdere tutta l'importanza sociale che ha avuto, perché all'epoca i giovani che accorsero a Woodstock credevano davvero che si potesse cambiare la società in maniera pacifica, con la partecipazione. Ai giorni nostri sembra impossibile ripetere un evento del genere ed in effetti la Woodstock che qui è rappresentata ci appare lontana.
Visto domenica al cinema Loreto: voto ***. L'atmosfera è rasserenanate e la costruzione per un pò funziona, ma non si capisce dove il regista vuole andare a
parare, per come mostra un avvenimento epocale, racchiuso da eventi altrettanto storici, vissuto da persone che hanno solo
voglia di sballarsi. Il protagonista, nei 120 minuti di pellicola, non sviluppa una propria personalità, nemmeno al termine di quel viaggio che si è sentito nella necessità di intraprendere. I coprotagonisti si esprimono invece con brio e gli scambi di battute sono vivaci. E' un film divertente, anche se verso la metà della seconda parte si perde un pò nella noia. Capita,
quando il fulcro della storia è
incentrato sulle pratiche burocratiche e organizzative per cui sono abili i ragionieri. Una migliore attuazione avrebbe
potuto realizzarsi dando più spazio alle basi filosofiche che hanno sostenuto il festival perché, in fin dei conti, di
materia ce n'era tanta, ma non è stata usata sapientemente.
Posta un commento