Una innocua domanda, affatto spiazzante, dalla risposta semplice. Un'osservazione che vuole orientare sul tema della banalità del male, che spesso risiede in una dimora rassicurante. La questione presenta molteplici aspetti, non ultima la ricerca della verità. In un villaggio protestante tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale si susseguono in serie diversi incidenti. Le indagini sconclusionate non trovano mai appagamento e la verità che appare vicina non viene mai a galla esplicitamente: ciò è ottimamente reso con i tagli improvvisi nel flusso narrativo del film, perché oggetto della narrazione non sono i singoli eventi ma la loro conseguenza. Impossibile trovare la verità dal momento che non la si vuole vedere e non esiste peggior cecità di quella sostenuta dall'ignoranza della dimensione umana. Spesso viene riconosciuta come debolezza la naturale condizione umana, ma la malattia insita nell'uomo è proprio la cattiva gestione del potere. Il desiderio di reprimere il male, individuato con una visione offuscata dai dogmi, provoca una perversa attitudine alla sopraffazione che ognuno sfoga su chi è più debole, giù giù fino all'handicappato, al diverso, all'emarginato, fino al canarino in gabbia: l'unica vittima per cui appare in evidenza il responsabile. D'altronde, la responsabilità è diffusa e cade sia sui figli - rei effettivi - che sui genitori - ciechi - i quali negano una malattia manifesta nella sua lineare coerenza. Con la negazione della malattia il male si propaga e nessuno sembra in grado di fermarlo o, quel che è peggio, farlo conoscere: un tacere che condurrà ad azioni dei figli dagli effetti devastanti, di lì a vent'anni. Se verso la conclusione del film è annunciato lo scoppio della guerra con l'attentato di Sarajevo, indirettamente si anticipa l'avvento del regime nazista. La voce narrante abbozza anch'essa ricordi vaghi, in tono sfumato, come a voler cancellare ciò che è stato e ciò che sarebbe avvenuto, nella negazione di qualunque speranza di cambiamento e nella verifica dell'ineluttabilità degli eventi.
Visto venerdì al Solaris: voto *** 1/2. Tecnicamente il film è quasi perfetto, ma la sensazione di disagio che mi ha instillato fa sì che debba togliere mezzo punto di valutazione.
1 commento:
Una innocua domanda, affatto spiazzante, dalla risposta semplice. Un'osservazione che vuole orientare sul tema della banalità del male, che spesso risiede in una dimora rassicurante. La questione presenta molteplici aspetti, non ultima la ricerca della verità.
In un villaggio protestante tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale si susseguono in serie diversi incidenti. Le indagini sconclusionate non trovano mai appagamento e la verità che appare vicina non viene mai a galla esplicitamente: ciò è ottimamente reso con i tagli improvvisi nel flusso narrativo del film, perché oggetto della narrazione non sono i singoli eventi ma la loro conseguenza. Impossibile trovare la verità dal momento che non la si vuole vedere e non esiste peggior cecità di quella sostenuta dall'ignoranza della dimensione umana. Spesso viene riconosciuta come debolezza la naturale condizione umana, ma la malattia insita nell'uomo è proprio la cattiva gestione del potere. Il desiderio di reprimere il male, individuato con una visione offuscata dai dogmi, provoca una perversa attitudine alla sopraffazione che ognuno sfoga su chi è più debole, giù giù fino all'handicappato, al diverso, all'emarginato, fino al canarino in gabbia: l'unica vittima per cui appare in evidenza il responsabile. D'altronde, la responsabilità è diffusa e cade sia sui figli - rei effettivi - che sui genitori - ciechi - i quali negano una malattia manifesta nella sua lineare coerenza. Con la negazione della malattia il male si propaga e nessuno sembra in grado di fermarlo o, quel che è peggio, farlo conoscere: un tacere che condurrà ad azioni dei figli dagli effetti devastanti, di lì a vent'anni. Se verso la conclusione del film è annunciato lo scoppio della guerra con l'attentato di Sarajevo, indirettamente si anticipa l'avvento del regime nazista.
La voce narrante abbozza anch'essa ricordi vaghi, in tono sfumato, come a voler cancellare ciò che è stato e ciò che sarebbe avvenuto, nella negazione di qualunque speranza di cambiamento e nella verifica dell'ineluttabilità degli eventi.
Visto venerdì al Solaris: voto *** 1/2. Tecnicamente il film è quasi perfetto, ma la sensazione di disagio che mi ha instillato fa sì che debba togliere mezzo punto di valutazione.
Posta un commento