Il sonno fu presto compenetrato dal sogno ed Alëša trascorse un'agitatissima notte, nel territorio tra sonno e veglia, dove i confini tra sogno e realtà sono più flebili.
Si vide e si riconobbe nettamente nella sua figura umana. Era a torso nudo e il suo fisico era nettamente modellato da evidenti fasci muscolari, ma guardandosi poi nell'interezza si accorse che i suoi arti luccicavano di un brillante colore giallognolo. La pelle rosea del viso iniziava a scintillare di riflessi metallici e man mano tutto il corpo stava assumendo le sembianze di un automa meccanico. Contemporaneamente si vedeva nel letto della sua stanza, immerso in un sonno profondo, quando all'improvviso lungo la parete si materializzava un'ombra, i cui contorni delineavano un corpo femminile nudo, che cadeva a capofitto lungo la parete della stanza. Considerò l'evidenza che, se il sogno avesse vissuto di tempi e lunghezze reali, quell'ombra sarebbe dovuta arrivare ben presto a terra, ma nel mondo del sogno la discesa sembrava non avere fine. L'ombra si andava infine ad afflosciare sul suo corpo disteso, assumendone la piatta conformità, per poi iniziare a vorticare sul suo addome ed essere risucchiata al suo interno attraverso l'ombelico.
Il quadro dei soggetti si modificò in una nuova scena. Ora quella donna, nella sua completa nudità, aleggiava in una rete informatica, saltando da un campo all'altro di quella che doveva essere una mente cibernetica. Le linee della rete si intrecciavano in nodi inestricabili, su due piani paralleli, che naturalmente non si sarebbero mai toccati, ma tra loro funzionava un'interazione, congiunti com'erano da cilindri a rete che salivano in alto come colonne portanti di edifici, intrecciate di fil di ferro. La donna aleggiava nello spazio vuoto tra i due piani, in un volo orizzontale che avrebbe dovuto essere infinito; sotto il piano inferiore, in una figura speculare alla donna, volava lui, alla stessa velocità, ma aveva braccia e gambe meccaniche e il volto era umano solo per metà, dove l'altra metà era ricoperta di metallo.
La visione successiva era quella di un albero, un albero i cui rami erano filanti di energia e le foglie brillavano come lucciole. Si vide seduto sotto le fronde dell'albero, nella sua preferita figurazione di pastore che, mentre si riposa all'ombra, suona il flauto ed osserva i greggi al pascolo, in una cornice arcadica. Daniela era dall'altra parte del tronco, voltata verso l'altro lato, e gli parlava: “Tu sei in me e io sono in te”.
“Che dici, Daniela?”.
“Tu preferisci vedere il tuo riflesso allo specchio perché l'universo è asimmetrico. Quando sei solo ti vedi in uno specchio piano, che riflette raggi luminosi paralleli. Così è sempre stato per te, nel tempo, ed in ogni luogo e situazione. Lo spaziotempo ti è rimasto costante. Però in presenza di un'altra massa corporea lo spaziotempo viene curvato e quello che prima era una retta che descriveva un punto diventa una superficie. Su una superficie curva non valgono le regole razionali: la somma degli angoli di un triangolo può essere superiore a 180° ed è anche possibile procedere sempre nella stessa direzione ritornando dopo un certo tempo al punto di partenza.”
In quello che gli sembrava un discorso dai tratti filosofici oscuri, che non riusciva ad interpretare, Alëša era rimasto interdetto nel suo stesso sogno.
Daniela, in forma di entità immateriale, si stava prodigando sul suo corpo umano per farlo arrivare alla soluzione del problema che coinvolgeva entrambi. La sua coscienza lo indirizzava nettamente sul fatto di essere un uomo, contrapposto alla donna in natura di macchina, ma in quel momento onirico le parti si ribaltavano, perché lui vedeva Daniela umana come la prima volta che l'aveva vista, quando ancora non conosceva la sua vera realtà, mentre il suo altro sé assomigliava maggiormente ad uno di quei robot vecchio stampo che tanto lo spaventavano.
Continuava a vedersi specularmente nella figura di Daniela, che ora riconobbe, nuda e bella come non mai, mentre volava sul piano superiore al suo. Guardava con i suoi occhi robotici gli occhi di lei, di quell'azzurro così intenso che era sempre stato in grado di ammaliarlo. Entrambi correvano, di un moto uniformemente accelerato, sui due piani paralleli, e più aumentava la velocità più risultava evidente la curvatura dello spazio piano. I due piani paralleli iniziavano a curvarsi e l'intreccio di fibre verticali che formavano le colonne si incuneavano a spirale in un vortice che avvolgeva i due corpi. La veloce corsa sembrava dirigersi inesorabilmente verso una sfera dorata che si profilava da lontano e che rapidamente assunse i contorni dell'albero energetico. Seduto sotto l'albero c'era ancora lui, il giovane Alëša, pastore di greggi.
Guardò in alto le fronde dell'albero, che rilucevano di riflessi dorati, di un colore sempre più simile a quella tonalità bionda che ben conosceva. I rami filanti erano, in effetti, capelli, e sotto la bionda chioma c'era un viso, con gli occhi chiusi del sonno, e dietro ancora un intero corpo rannicchiato in
posizione fetale, che occupava l'intera chioma arborea. Gli occhi si aprirono, sfavillanti di quell'azzurro altrettanto noto ad Alëša. Sonja era entrata nel suo sogno.
“La macchina non ha in sé il sentimento della bellezza, è il nostro occhio che la costruisce.” Era indubbiamente la sua voce e il volto era nitidamente il suo, e gli sorrideva dall'alto.
"Sonja?!"
"Non c'è tempo, Alëša, devi fare la tua scelta, devi guardare nella giusta direzione con i tuoi occhi di giovinetto, finché puoi."
"Cos'è? mi stai mettendo alla prova? cosa devo guardare? e perché finché posso?"
"Non ti vedi? Stai sognando di dormire nella tua stanza a sognare di essere una macchina. Vuoi essere uomo o macchina? Non puoi essere entrambe le cose e devi fare una scelta. Ti piace assomigliare a una macchina per poter possedere la macchina, però non ci trovi l'anima e subito dopo non ti piace più. Sappi che l'amore puoi vederlo solo con occhi umani. Quando l'altro te, ormai mutato, arriverà qui, e ci sta arrivando a velocità supersonica, non sarai più in tempo e resterai un essere liminale.”
“Cosa significa?”
“Significa che rimarresti costretto nel tempo ricorsivo che ti sei costruito. Ti piace viverci, perché ti sembra di conoscere tutto, dato che ad ogni fine corsa, come in una routine, ricominci daccapo. Ma questa non è la vita reale. Da giovane conoscevi la natura, ora invece sai rappresentare la natura mediante formule. Non esistono però abbastanza formule per raggiungere la conoscenza del tutto. La natura ha in sé tutte le formule. Usa la tua natura umana, usala Alëša!"
"Che devo fare?"
"Guarda nella giusta direzione. Non pensare allo spirito. Guarda il corpo. Il corpo, Alëša!"
Allora distolse lo sguardo dalla chioma dell'albero e guardò più in basso. Voltandosi, incrociò il viso di Daniela, che dall'altra parte dell'albero si era girata contemporaneamente a lui. Le notò quella deliziosa e quasi impercettibile voglia bianca che aveva sulla fronte, appena sotto l'attaccatura dei capelli nerissimi, quindi le guardò le sopracciglia folte, le lunghissime ciglia e poi, più intensamente, i suoi occhi, che risposero altrettanto intensamente allo sguardo. Anche lei aveva occhi bellissimi: le pupille erano dilatate e la piccola cornice azzurra dell'iride era brillantissima, nettamente staccata dal bianco della sclera. Avvicinarono le mani che si congiunsero e andarono a stringersi.
Il folle volo dei loro doppi li raggiunse in quel momento, sollevandoli verso l'alto e portandoli a confluire in cima alla chioma dell'albero, dove andarono a fondersi in un bailamme di luci turbinanti di bianco e d'azzurro.
Era l'attimo che precede la veglia e Alëša sognò di essere una farfalla dalle ali bianche e azzurre che svolazzava felice. Sonja, seduta in un ameno giardino, l'accoglieva sorridente sul dorso della sua mano.
Al risveglio si ritrovò nel letto e toccandosi le membra prese coscienza di essere in carne e ossa. Era molto triste.
5 - continua
Non abbiamo tutto quello che vogliamo?
16 ore fa
2 commenti:
http://www.carmillaonline.com/archives/2004/09/000964.html#000964
La porta del sonno si trova alla fine di un breve cammino di fraintendimenti...
EVAFUTURA
E' proprio una breve storia, la storia del tempo.
Siamo nel mondo dei sogni, dove le immagini risvegliano, come un colpo di frusta, il corpo che s'era assopito nel ragionamento. Il tempo viene scosso avanti (nella previsione di un'uscita dal sogno per approdare alla ricercata corporalità) e indietro (nel ricordo di un passato fatto di illusioni). Nella chioma dell'albero, che - notiamo - ha forma di un cervello umano (capace di ricostruire l'interezza a partire da tutti gli atomi delle informazioni, come un ologramma), convivono figlia (il frutto dell'amore, alla ricerca della sua manifestazione, o nascita) e madre (consolatrice e dispensatrice di consigli), che consiglia di ricercare l'unità delle cose direttamente a livello corporeo, non solo spirituale.
Per arrivare a questa realizzazione, quindi a una nuova vita, si dovrà rinunciare a qualcosa di immensamente caro, assistere alla distruzione di una parte di sé, la giovinezza che se ne va, il cui grido si ode risuonare forte dal passato: il ricordo di una frase, indelebilmente impressa nella memoria. E' questo il panico amoroso (R. Barthes)
L'immagine della farfalla è ispirata al famoso sogno di Chuang Tzu, che ci pone davanti l'esperienza dell'unità.
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