venerdì 18 maggio 2012

Economia e relazioni (2 - L'istinto del gregge)



La qualifica più comune di chi fa previsioni in campo economico consiste non già nel sapere, ma nel non sapere di non sapere, J.K.Galbraith

Mai come in questo periodo le discussioni in tema di economia sono state così popolari. Termini tecnicistici come spread, rating, finanza derivata, sono sulla bocca di tutti, e chi ne parla è reso soddisfatto dal figurarsi esperto ed informato. In effetti, gli organi d'informazione offrono la loro buona parte nella divulgazione, la crisi economica è generalizzata e coinvolge tutti. Ma è proprio vero che chi ne parla ci capisce qualcosa? Divulgare la notizia è facile, niente di più semplice del replicare l'opinione del giornalista o esperto di turno, ma quando si tratta di definire i contorni di cosa si sta parlando, il compito diventa tutt'altro che agevole. Ciò che preoccupa è lo stereotipo, che permette di dire senza sapere.
Protestiamo, proviamo a ribellarci, ma restiamo convinti che è meglio continuare a galleggiare, in preda alla tempesta dei mercati, mentre abbiamo demandato ad altri il compito di tenere a galla la zattera, perché ci dicono che prima o poi le acque torneranno a calmarsi. Così è stato in passato, ed ogni volta che vengono trovati gli antidoti alle crisi si è certi che non si ripeterà mai più, mentre ben si sa che la storia si ripete e infatti la crisi si è replicata ma, questa, in forma molto più virulenta. La gravissima crisi di oggi è dovuta ad una serie di errori imperdonabili, commessi anche da economisti illustri, su cui si stende un velo di silenzio. Si dice dunque che sono stati commessi errori, ma non si dice da chi. Le cause sono profonde, e soprattutto vi è stata la preponderanza del mercato finanziario sul mercato dei beni reali. Nato inizialmente per il bene comune, il mercato è diventato il luogo in cui si è dato sfogo a passioni umane delle più perverse, quali l'avidità e l'avarizia. Questo noi lo sappiamo, ma continuiamo a fidarci del mercato così come lo conosciamo e ci consoliamo in questo sistema di falsa democrazia. Abbandonarlo equivarrebbe infatti a perdere comodi punti di riferimento, tanto cari e facili. L'uomo se le tiene ben strette, le sue sicurezze, e se non gli piacciono se le fa piacere. Ecco perché non anela ad un reale cambiamento. L'inganno è sempre in agguato e viene chiamato istinto del gregge.

Per Nietzsche l'istinto del gregge è stato all'origine della morale: in risposta ai dibattiti seguenti alla pubblicazione de "L'origine della specie" di Darwin, egli individua nella morale il problema alla radice dell'autocontraddizione moderna. Gli uomini ne hanno bisogno per poter vivere insieme senza paura reciproca, ma l'individuo in se stesso, nella sua autonomia e nella sua libertà viene negato, cancellato in funzione del gregge e del suo organizzarsi istituzionale.

"Laddove ci imbattiamo in una morale, ivi troviamo una valutazione e una gerarchia degli istinti e delle azioni umane. Queste valutazioni e gerarchie sono sempre l'espressione dei bisogni di una comunità e di un gregge: ciò che ad esso risulta utile in primo luogo - e in secondo e terzo luogo- questo è anche la suprema norma di valore per tutti i singoli. Con la morale, il singolo viene educato a essere funzione del gregge e ad attribuirsi valore solo come funzione. Poiché le condizioni della conservazione di una comunità sono state molto diverse da quelle valide per un'altra comunità, ci furono  molte e diverse morali; e, relativamente alle imminenti trasformazioni essenziali dei greggi e delle comunità degli stati e delle società, si può profetizzare che vi saranno ancora morali molto differenti. La moralità è l'istinto del gregge nel singolo" (F.Nietzsche, "La Gaia Scienza", III, 116)

Dunque, riconoscendosi nella specie, l'uomo accetta l'autosottomissione pur di potersi conservare. Sottomissione e impulso di conservazione, ma d'altro canto abbiamo il livellamento alla media dettato dall'economia del bisogno. La specie è quella modalità di autorappresentazione dell'esistenza umana frutto di un estremo depotenziamento e perciò stesso è l'espressione del debole animale autoconservantesi. (G.A.Di Marco, "Marx, Nietzsche, Weber. Gli ideali ascetici tra critica genealogia comprensione")

Possiamo liberarci dai condizionamenti? Quel che ci viene detto è qualcosa che sentono gli altri, così la persona ha la parvenza di fare la cosa giusta semplicemente perché tutte le persone intorno lo dicono. L'umanità così conglobata, in definitiva, è incapace di gestire se stessa.
Occorrerebbe trovare dentro di sé i principi naturali di giustizia, che sono propri, geneticamente, dell'essere umano, e tirarli fuori. La saggezza è antica e il verbo fondamentale è il latino educĕre (cioè "trarre fuori, "tirar fuori" o "tirar fuori ciò che sta dentro"), da cui "educare", che dovrebbe essere un processo di aiuto alla persona a compiere un cammino e recuperare la propria identità. Tutto è già contenuto nell'essere umano. Demandando le decisioni, attribuiamo ad altri un potere ingiusto, che cerca di giustificare cose che noi aborriamo se davvero cerchiamo pace, giustizia e verità.


Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,

Dante,Par,V