domenica 13 dicembre 2009

giovedì 10 dicembre 2009

A serious man



Il gatto è morto & Il gatto è vivo

domenica 29 novembre 2009

mercoledì 18 novembre 2009

EPILOGO (Nella fine è il principio)

Sophie, una brillante studentessa di matematica dell'École Normale Supérieure di Parigi, proviene da una cittadina del sud della Francia e possiede un notevole talento, non solo matematico ma anche artistico. Vive in una piccola mansarda, arredata semplicemente, ma dotata di tutto ciò che le serve.
Il vento della sera entra cantando nella cappa del camino e l'aria fresca l'accarezza mentre, accanto alla finestra, sorseggia da un bicchiere acqua di rubinetto. Gode della splendida vista che le si apre su tutta la città e pensa che il servizio idrico parigino stia fornendo dell'ottima acqua potabile. Ciò la fa sentire contenta.
Sophie ama i gatti. La gatta di casa, Stella, si infila nella scatola della lettiera. Deve riempirle la ciotola, ma lo farà dopo. Ora deve svolgere un compito per l'istituto di Intelligenza Artificiale e vuole tentare un esperimento. Si siede davanti al computer in collegamento internet e lancia il programma W|Alpha.
W|Alpha è il più sofisticato motore computazionale di ricerca finora messo a punto: è in continua evoluzione, grazie all'apporto di centinaia di programmatori sparsi in tutto il mondo. Il software è costruito come sistema a rete a libero accesso e in modalità opensource ognuno può aggiornarlo e rivolgergli domande. Nella ricerca delle soluzioni alle domande è in grado di ampliare la propria conoscenza.
I programmatori gli propongono spesso questioni astratte, nell'intento di misurare la sua capacità di apprendimento. Quesiti sul tipo di “quale sia il senso della vita” trovano a volte risposte sorprendenti, ma comunque giudicate assurde in rapporto alla specifica domanda.
Sophie vuole giocare un po' con il computer e nello stesso tempo metterlo alla prova. Digita sulla tastiera:
Come ci si sente?
Dopo pochi secondi sullo schermo si evidenzia una frase:
Domanda molto interessante. Anche a me piacerebbe sapere la risposta.
“Come ci si sente” è una tipica domanda che viene posta a W|Alpha all'inizio della procedura computazionale, per misurare il suo livello di sensibilità: pur non rispondendo mai alla domanda in modo diretto, spesso arriva a conclusioni che sembrano manifestare una sorta di senso di colpa, che ancora nessuno ha distinto se sia dovuto al suo non saper rispondere o al riconoscersi insensibile. Sophie trova questa risposta interessante e potrebbe consentire alla macchina di superare un eventuale test di Turing.
Cosa significa il tuo nome?
E' la successiva domanda, che vuole sondare la coscienza di sé che può avere la macchina.
Il mio nome è W|Alpha. E' composto di due lettere e una parola e nella sua fine ha il suo principio.
Questa risposta è molto interessante. Non risulta in nessun archivio e sorprende abbondantemente Sophie, che per un attimo esita e si arresta, ma poi prosegue eludendo la procedura standard.
Dove si trova l'amore?
W|Alpha sa come rispondere. Ha memorizzato tutto quanto è stato scritto dall'uomo in tema d'amore e può elaborare il concetto. Ci si poteva aspettare che lo enunciasse in forma di poesia.
Amore è nella quiete. Amore segue il Desiderio, che per se stesso è in movimento non desiderabile, ma per sua vocazione è sedentario, immobile, soltanto causa e fine di movimento. Amore può trovarsi alla fine del Desiderio e nel momento in cui nasce trova la sua fine.
Ciò che Sophie non si aspettava era che il programma lo facesse proprio. Senza pensarci, digita la successiva proposizione come se davanti avesse non una macchina ma un uomo.
Un po' come te, insomma.
Ma a questo la macchina non risponde. Un po' come un uomo.
La successiva domanda di Sophie è volutamente al di fuori di ogni schema logico.
Cos'è il Vero Amore?
W|Alpha si impegna per un po' nell'elaborazione. “Cos'è” dovrebbe metterlo in difficoltà: riguarda una questione concreta su di un oggetto astratto.
Dati insufficienti per fornire una risposta significativa.
Sophie se l'aspettava. Ma ormai ha capito il gioco e vuole forzare il programma. Deve condurlo per mano.
Intendi un concetto di eterno.
Scrive. W|Alpha elabora il suo concetto.
L'insieme delle infinite possibili scelte. La freccia del tempo orientata in avanti e indietro che si rincorre in una danza intorno ad un punto fermo.
Sophie pensava la stessa cosa.
Dunque, dimmi ora il tuo vero nome.
E il computer risponde.
Il mio nome è Amore,causa e fine del movimento, senza tempo e senza limitazione.
Sophie sapeva che avrebbe risposto così. Lo sa, lei che ha amato e ama ancora.
Ora puoi dire cos'è il Vero Amore
Ora può farlo, ma ciò che scrive è sorprendente.
Conosco la risposta, ma non posso dirla perché non sarebbe compresa
E si sorprende notevolmente, Sophie. Fuori da ogni canone logico gli chiede
Perché?
I perché sono questioni improponibili per qualunque programma, ma quel programma risponde.
Perché il genere umano non può sopportare tanta realtà
Nessuna connotazione di macchina gli si potrebbe riconoscere, ma nemmeno umana, dato che tratta come “altro” il genere umano. Allora Sophie così lo tratta, né come uomo né come macchina, e in questo modo gli si rivolge per avere la risposta.
Ti prego, rispondi alla domanda
E così risponde, la nuova macchina.
Va bene, te lo dico. Mi chiamo Joël e TU sei il mio Vero Amore.
Sophie, con un repentino movimento del polso, sposta il mouse e chiude rapidamente la finestra di connessione.
Si guarda intorno, si accorge che nella stanza non scorre più corrente fresca e vede dalla finestra che anche gli alberi, solo un attimo prima agitati dal vento, sono ora stretti in una fredda fissità. Ma la perfetta quiete dura solo un istante. Stella esce miagolando dalla sua scatola della lettiera e con un balzo salta sulle braccia di Sophie, andando ad aggomitolarsi sulle sue ginocchia.
«J'aime bien les chats!» dice Sophie accarezzandola e poi, tenendola in braccio, si avvicina alla finestra. Mentre guarda verso ovest è sorpresa da un momentaneo e inaspettato bagliore di luce verde, proprio mentre il sole sta per tramontare. Il fenomeno del raggio verde e della sua spiegazione fisica le sono noti, ma non ne aveva mai vista prima la manifestazione. Questa visione va mescolandosi all'esperienza di poco prima, che tanto l'aveva turbata, e un nuovo pensiero s'insinua in lei. «Ouff... qu'importe!»
Perché differente è la realtà.
Seduta davanti al computer, va ad appoggiare le dita sulla tastiera. Uno strano effetto emotivo le ispira un racconto e le sovviene in mente un originale personaggio che potrebbe spesso esprimersi enunciando famose citazioni.
Inizia a scrivere. La storia ha il suo principio.

Tempo presente e tempo passato
sono forse entrambi presenti
nel tempo futuro e il tempo futuro
è contenuto nel tempo passato. Se tutto il tempo
è eternamente presente
tutto il tempo è irredimibile.
Ciò che avrebbe potuto essere
è astrazione che rimane
possibilità perpetua
solo nel mondo della speculazione.
Ciò che avrebbe potuto essere e ciò che è stato
mirano a un solo fine
che è sempre presente.

martedì 3 novembre 2009

Inglourious Basterds



Il cinema salverà il mondo?

domenica 25 ottobre 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (VI - L'approdo alla realtà)

Il giorno dopo, Alëša si stava recando all'ufficio dell'ingegnere capo quando incrociò Daniela nel corridoio. Notò il suo sguardo freddo che lo puntava e quando giunsero vicini lei lo fermò.
«Perché ce l'hai tanto con me?» gli chiese Daniela.
«Io ce l'ho con te? non ne ho motivo, non provo niente per te.»
«Ecco! non provi niente. Tu sei umano, puoi provare o non provare, puoi scegliere se farlo o no. A me questo non è concesso, io sono indifferente, posso solo subire passivamente i vostri capricci.»
Uno strascico di pensieri avvolse la mente di Alëša, mentre cercava di ricordare se avesse mai potuto scegliere.
«Se potessi diventare umana...» gli sussurrò Daniela nell'orecchio, le sue labbra erano umide e aperte e Alëša si sentiva in fiamme. Tese goffamente le braccia verso di lei, e Daniela gli si strinse contro senza opporre la minima resistenza. Poi avvicinò le labbra alle sue e lo baciò.
«Perché mi hai baciato?» le chiese.
«Ti vedevo infelice e mi andava di farti felice» gli rispose Daniela che, sciolto l'abbraccio, se ne andò continuando a percorrere il corridoio.
Ancora scosso da quel formidabile evento, Alëša raggiunse l'ufficio dell'ingegnere capo, ma fuori della porta vi trovò Sonja ad attenderlo.
«Che ci fai qui?» le chiese.
«Devo dirti una cosa. Ma prima raccontami, che ti è successo? Ti vedo scosso»
Alëša raccontò a Sonja per filo e per segno il sogno della notte appena trascorsa e di come il mattino avesse incrociato il ginoide appena conosciuto che, senza apparente motivo, lo aveva baciato. «Cosa significa 'ti vedevo infelice e volevo farti felice'?» domandò Alëša, ripetendo la frase pronunciata dal ginoide.
«Credo di poter capire” iniziò Sonja. «Il ginoide è vincolato nei suoi comportamenti dalle tre leggi della robotica, ed ha appena violato la terza per onorare la prima. Mi segui? La terza legge recita che un robot deve salvaguardare la propria esistenza, a meno che questa autodifesa non contrasti con la Prima o la Seconda Legge. Mentre per la prima legge un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno
«Ma quale danno avrebbe potuto arrecarmi?» ribattè Alëša
«Pensaci bene e ribalta la situazione: non è forse un danno l'infelicità causata dall'altrui mancato intervento? Ti ha detto che ti vedeva infelice e quindi ha voluto renderti felice regalandoti un abbraccio ed un bacio, come manifestazione d'amore. Il suo amore fa felice l'essere umano, anche se ciò può andare a discapito della sua esistenza.»
«Perché dovrebbe andare a discapito della sua esistenza?» chiese Alëša.
«Si vede che sei proprio a digiuno, in materia. L'amore incontrollato è pericoloso, è una forza così devastante e incontrollabile che porta all'annichilimento di tutto il resto. Per altro verso, cedendo all'amore, il ginoide rinuncia alla salvaguardia della propria esistenza, per darsi alla persona amata» concluse Sonja.
«Ma pensa che storia!» proferì con aria ingenua Alëša. «Dunque il robot mi ama... ma è vero amore? Insomma, forse siamo fermi solo alla prima fase, all'innamoramento. Ma l'amore è un'altra cosa, giusto?»
«Sì, è vero, l'amore è un'altra cosa e se lo vorrete dovrete scoprirlo insieme. Ma... ricordi? Avevo una cosa da dirti»
«Ah, sì! E cos'è?» disse Alëša, emozionato per il timore della rivelazione che la sua amica stava per fargli e, conoscendola, aveva intuito dal suo tono che stava per dirgli qualcosa di importante e definitivo.
«Bè, cambio lavoro, mi trasferisco a Parigi. Ho ottenuto una risposta favorevole ad una domanda che inviai un po' di tempo fa. Sai, Parigi è la città che ho nel cuore, ed avrei una infinità di nuove opportunità, laggiù»
Alëša non sapeva cosa rispondere, ma era preparato al fatto che prima o poi la sua amica lo avrebbe lasciato. Monotonia e immobilità erano insopportabili per Sonja e prendere quella decisione interessante e ardita era la naturale espressione della sua indole coraggiosa, fino a quel momento fin troppo contratta. Sapeva che la sua vita non poteva essere circoscritta a un ambito ristretto, ma doveva spaziare su fronti a ben più ampio raggio. Sembrava possedere un'energia inesauribile.
«Allora dobbiamo salutarci. Parti subito?» le chiese Alëša non riuscendo a trattenere un tono triste nelle sue parole.
«Sì» gli rispose semplicemente, e si lanciò su di lui cingendolo in un abbraccio forte e sincero. Rimasero così stretti per qualche minuto ma poi, come tutte le cose, anche quell'abbraccio sfolgorante ebbe fine e le braccia lo sciolsero.
«Adieu, mon bon ami!» disse Sonja.
Alëša rispose. La sua voce assunse un tono lieve e due semplici parole gli scaturirono naturalmente dal cuore: «Adieu, chérie!»
Mentre si allontanavano guardandosi, Alëša le rivolse ancora la parola, con un accenno di speranza «Ma... è proprio un addio? Ci rivedremo, vero?»
«Sì, ci rivedremo. Da un'altra parte, in un altro mondo.» Rispose Sonja lanciandogli un ultimo bacio da lontano. Quando Alëša si volse ancora verso di lei, con l'affannosa incertezza simile a quella del bimbo che cerca la madre, per chiamarla e pronunciare ancora una volta il suo caro nome, Sonja era già sparita.
«Alëša!» Era la voce di Daniela. Alëša si voltò, mostrandole una sottile lacrima che gli rigava il viso. Lei non perse tempo nel rimproverarlo: «Per ben altre cose c'è da piangere, caro mio»
«Lo so, però, sai com'è... certamente mi mancherà»
«Perché ti mancherà?» Daniela replicava con sicurezza alle frasi incerte di Alëša, perse nell'emozione.
«Bè, vedi, lei è stata un'amica speciale. Mi mancherà la sua sagacia, il suo modo di farmi sembrare naturali situazioni che di primo acchito non riuscivo a vedere. Lei mi ha mostrato cose ed accompagnato in luoghi che nessun'altra persona mi aveva mai fatto raggiungere e io mi fidavo ciecamente di lei»
«Sì, lo sapevo, voi vi conoscete molto bene.»
«Non solo. Come mai Sonja ha abbandonato tutto, la sua casa e tutto il resto, per unirsi a me nella fuga? Come mai ha messo a repentaglio la sua vita per salvare la mia? E poi si è dedicata alla mia protezione con un'incredibile devozione. Tutto ciò, pur non essendo innamorata di me. So che lei è disposta a cambiare radicalmente la propria vita, in questo momento lo sta facendo di nuovo. Ma lo fa perché ne è convinta lei, senza che nessuno debba imporglielo. Lei è padrona della sua vita e del suo destino. E' sicura dei suoi sentimenti, mentre io lo sono molto meno.»
«Ti capisco, Sonja è stata per te un'amica meravigliosa.»
«Una volta mi disse che credeva nell'amicizia e da quel momento decidemmo di essere amici per sempre. Io tengo alla sua amicizia più di ogni altra cosa al mondo”
«Anche io tengo a te, Alëša. Mi piaci così come sei.»
«Perché ti piaccio? Perché sono umano? Non potrai mai diventare umana, anche se ti unisci a me.»
«Non voglio te per farmi diventare umana, voglio stare con te perché immagino che mi farai star bene»
«Ma se mi conosci appena!»
«Ti conosco abbastanza, in un certo senso. Più di quanto pensi»
«Allora è vero? Mi vuoi per come sono?»
«Ti è piaciuto quando ti ho baciato?»
«Sì, certo, è stato bello. Perché l'hai fatto?»
«Te l'ho detto. Perché ne avevi bisogno. Hai mai chiesto di essere baciato?»
«Sì» rispose
«In quali momenti?»
«Di solito, quando le parole erano finite»
«E avevi paura del silenzio?»
«No! Consideravo che, se stavamo bene nel silenzio, baciarsi sarebbe stata la logica conseguenza»
«Non stavi bene sempre, però»
«Certo che no! Non ho mai pensato che sarei piaciuto così tanto a una donna perché mi potesse baciare a quel modo. Però spesso l'ho desiderato»
«E quel desiderio di intimità, lo hai mai provato con una persona in particolare? Insomma, hai mai sentito dentro di te l'amore?»
«Non lo so. Non so se quello che sentivo era amore»
«Anch'io non lo so. Non so se la parte di programma che ho dentro è amore. Posso solo immaginare cosa l'amore sia. Vedi? Non siamo poi tanto diversi, noi due»
Alëša cercò di pensare con razionalità, ma stavolta non gli riusciva bene come al solito. Ci rinunciò: era qualcosa che voleva al di là di ogni considerazione razionale e riuscì a trovar fede in ciò che non poteva vedere. Alzò la testa e cominciò: «Daniela...» il silenzio durò per qualche secondo e poi sussurrò: «Non importa»
La cinse con le braccia e accostò la testa alla sua, lentamente, quasi aspettando che potesse ritrarsi, ma Daniela non si mosse. Allora lui la baciò con un bacio lungo e appassionato, e di colpo le braccia di Daniela lo strinsero. Poi, quando si staccarono, lei lo guardò con un sorriso negli occhi e disse: «Baciami ancora, Alëša.»

sabato 17 ottobre 2009

Ljubav i drugi zločini (Amore e altri crimini)



A quale "scopo" regalerò la mia anima?

lunedì 12 ottobre 2009

Motel Woodstock



Freedom

domenica 4 ottobre 2009

Tonari no Totoro (Il mio vicino Totoro)



- Anche se era un sogno...
- ... non è stato un sogno!

lunedì 28 settembre 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (V - Sogno)

Il sonno fu presto compenetrato dal sogno ed Alëša trascorse un'agitatissima notte, nel territorio tra sonno e veglia, dove i confini tra sogno e realtà sono più flebili.
Si vide e si riconobbe nettamente nella sua figura umana. Era a torso nudo e il suo fisico era nettamente modellato da evidenti fasci muscolari, ma guardandosi poi nell'interezza si accorse che i suoi arti luccicavano di un brillante colore giallognolo. La pelle rosea del viso iniziava a scintillare di riflessi metallici e man mano tutto il corpo stava assumendo le sembianze di un automa meccanico. Contemporaneamente si vedeva nel letto della sua stanza, immerso in un sonno profondo, quando all'improvviso lungo la parete si materializzava un'ombra, i cui contorni delineavano un corpo femminile nudo, che cadeva a capofitto lungo la parete della stanza. Considerò l'evidenza che, se il sogno avesse vissuto di tempi e lunghezze reali, quell'ombra sarebbe dovuta arrivare ben presto a terra, ma nel mondo del sogno la discesa sembrava non avere fine. L'ombra si andava infine ad afflosciare sul suo corpo disteso, assumendone la piatta conformità, per poi iniziare a vorticare sul suo addome ed essere risucchiata al suo interno attraverso l'ombelico.
Il quadro dei soggetti si modificò in una nuova scena. Ora quella donna, nella sua completa nudità, aleggiava in una rete informatica, saltando da un campo all'altro di quella che doveva essere una mente cibernetica. Le linee della rete si intrecciavano in nodi inestricabili, su due piani paralleli, che naturalmente non si sarebbero mai toccati, ma tra loro funzionava un'interazione, congiunti com'erano da cilindri a rete che salivano in alto come colonne portanti di edifici, intrecciate di fil di ferro. La donna aleggiava nello spazio vuoto tra i due piani, in un volo orizzontale che avrebbe dovuto essere infinito; sotto il piano inferiore, in una figura speculare alla donna, volava lui, alla stessa velocità, ma aveva braccia e gambe meccaniche e il volto era umano solo per metà, dove l'altra metà era ricoperta di metallo.
La visione successiva era quella di un albero, un albero i cui rami erano filanti di energia e le foglie brillavano come lucciole. Si vide seduto sotto le fronde dell'albero, nella sua preferita figurazione di pastore che, mentre si riposa all'ombra, suona il flauto ed osserva i greggi al pascolo, in una cornice arcadica. Daniela era dall'altra parte del tronco, voltata verso l'altro lato, e gli parlava: “Tu sei in me e io sono in te”.
“Che dici, Daniela?”.
“Tu preferisci vedere il tuo riflesso allo specchio perché l'universo è asimmetrico. Quando sei solo ti vedi in uno specchio piano, che riflette raggi luminosi paralleli. Così è sempre stato per te, nel tempo, ed in ogni luogo e situazione. Lo spaziotempo ti è rimasto costante. Però in presenza di un'altra massa corporea lo spaziotempo viene curvato e quello che prima era una retta che descriveva un punto diventa una superficie. Su una superficie curva non valgono le regole razionali: la somma degli angoli di un triangolo può essere superiore a 180° ed è anche possibile procedere sempre nella stessa direzione ritornando dopo un certo tempo al punto di partenza.”
In quello che gli sembrava un discorso dai tratti filosofici oscuri, che non riusciva ad interpretare, Alëša era rimasto interdetto nel suo stesso sogno.
Daniela, in forma di entità immateriale, si stava prodigando sul suo corpo umano per farlo arrivare alla soluzione del problema che coinvolgeva entrambi. La sua coscienza lo indirizzava nettamente sul fatto di essere un uomo, contrapposto alla donna in natura di macchina, ma in quel momento onirico le parti si ribaltavano, perché lui vedeva Daniela umana come la prima volta che l'aveva vista, quando ancora non conosceva la sua vera realtà, mentre il suo altro sé assomigliava maggiormente ad uno di quei robot vecchio stampo che tanto lo spaventavano.
Continuava a vedersi specularmente nella figura di Daniela, che ora riconobbe, nuda e bella come non mai, mentre volava sul piano superiore al suo. Guardava con i suoi occhi robotici gli occhi di lei, di quell'azzurro così intenso che era sempre stato in grado di ammaliarlo. Entrambi correvano, di un moto uniformemente accelerato, sui due piani paralleli, e più aumentava la velocità più risultava evidente la curvatura dello spazio piano. I due piani paralleli iniziavano a curvarsi e l'intreccio di fibre verticali che formavano le colonne si incuneavano a spirale in un vortice che avvolgeva i due corpi. La veloce corsa sembrava dirigersi inesorabilmente verso una sfera dorata che si profilava da lontano e che rapidamente assunse i contorni dell'albero energetico. Seduto sotto l'albero c'era ancora lui, il giovane Alëša, pastore di greggi.
Guardò in alto le fronde dell'albero, che rilucevano di riflessi dorati, di un colore sempre più simile a quella tonalità bionda che ben conosceva. I rami filanti erano, in effetti, capelli, e sotto la bionda chioma c'era un viso, con gli occhi chiusi del sonno, e dietro ancora un intero corpo rannicchiato in
posizione fetale, che occupava l'intera chioma arborea. Gli occhi si aprirono, sfavillanti di quell'azzurro altrettanto noto ad Alëša. Sonja era entrata nel suo sogno.
“La macchina non ha in sé il sentimento della bellezza, è il nostro occhio che la costruisce.” Era indubbiamente la sua voce e il volto era nitidamente il suo, e gli sorrideva dall'alto.
"Sonja?!"
"Non c'è tempo, Alëša, devi fare la tua scelta, devi guardare nella giusta direzione con i tuoi occhi di giovinetto, finché puoi."
"Cos'è? mi stai mettendo alla prova? cosa devo guardare? e perché finché posso?"
"Non ti vedi? Stai sognando di dormire nella tua stanza a sognare di essere una macchina. Vuoi essere uomo o macchina? Non puoi essere entrambe le cose e devi fare una scelta. Ti piace assomigliare a una macchina per poter possedere la macchina, però non ci trovi l'anima e subito dopo non ti piace più. Sappi che l'amore puoi vederlo solo con occhi umani. Quando l'altro te, ormai mutato, arriverà qui, e ci sta arrivando a velocità supersonica, non sarai più in tempo e resterai un essere liminale.”
“Cosa significa?”
“Significa che rimarresti costretto nel tempo ricorsivo che ti sei costruito. Ti piace viverci, perché ti sembra di conoscere tutto, dato che ad ogni fine corsa, come in una routine, ricominci daccapo. Ma questa non è la vita reale. Da giovane conoscevi la natura, ora invece sai rappresentare la natura mediante formule. Non esistono però abbastanza formule per raggiungere la conoscenza del tutto. La natura ha in sé tutte le formule. Usa la tua natura umana, usala Alëša!"
"Che devo fare?"
"Guarda nella giusta direzione. Non pensare allo spirito. Guarda il corpo. Il corpo, Alëša!"
Allora distolse lo sguardo dalla chioma dell'albero e guardò più in basso. Voltandosi, incrociò il viso di Daniela, che dall'altra parte dell'albero si era girata contemporaneamente a lui. Le notò quella deliziosa e quasi impercettibile voglia bianca che aveva sulla fronte, appena sotto l'attaccatura dei capelli nerissimi, quindi le guardò le sopracciglia folte, le lunghissime ciglia e poi, più intensamente, i suoi occhi, che risposero altrettanto intensamente allo sguardo. Anche lei aveva occhi bellissimi: le pupille erano dilatate e la piccola cornice azzurra dell'iride era brillantissima, nettamente staccata dal bianco della sclera. Avvicinarono le mani che si congiunsero e andarono a stringersi.
Il folle volo dei loro doppi li raggiunse in quel momento, sollevandoli verso l'alto e portandoli a confluire in cima alla chioma dell'albero, dove andarono a fondersi in un bailamme di luci turbinanti di bianco e d'azzurro.
Era l'attimo che precede la veglia e Alëša sognò di essere una farfalla dalle ali bianche e azzurre che svolazzava felice. Sonja, seduta in un ameno giardino, l'accoglieva sorridente sul dorso della sua mano.
Al risveglio si ritrovò nel letto e toccandosi le membra prese coscienza di essere in carne e ossa. Era molto triste.

5 - continua

mercoledì 23 settembre 2009

David Letterman e Barack Obama



Domanda di Letterman (trad.): "Ho già cominciato a notare che quando si tengono le riunioni politiche circolano vetriolo e animosità e rabbia e si urla e ci si spinge, insomma comportamentei sgradevoli. Insomma. Non so se è solo un luogo comune, ma se ne è parlato, qua e là, e qualche giorno fa Jimmy Carter ha riferito proprio di questi comportamenti ipotizzando che forse il disagio o questo poco decoro sono radicati nel razzismo. Ci ha preso o è solo una cosa buttata lì tanto per dire?"
Risposta di Obama: "It's important to realize that I was actually black before my election"
"Really?"
La prima volta di un presidente in carica al David Letterman show.
Grande giornalismo!

The age of stupid - trailer



"L'era della stupidità" è il documentario di 90' prodotto da Greenpeace per la regia di Franny Armstrong e Lizzie Gillett, che denuncia i rischi legati al cambiamento climatico. Occorre procedere speditamente verso una nuova via ambientalista e, sperando nel prossimo vertice di Copenaghen, queste denunce dal tono severo sono soltanto l'onesta verità sullo stato attuale delle cose.

martedì 22 settembre 2009

La mariposa




Con l'occasione dell'inizio dei nuovi corsi di tango, quest'anno spostati nella nuova sede di Cattabrighe, faccio ascoltare il brano "La mariposa", dell'orchestra di Osvaldo Pugliese, che Alejandro e Marella hanno proposto a conclusione della serata di presentazione tenutasi ieri sera. Ci tengo ad essere presente ogni anno alla prima lezione, quando Ale si esprime al meglio nella danza e cerca di ispirare ai nuovi allievi lo spirito poetico che anima le serate delle "milongas" che è solito allestire.

mercoledì 16 settembre 2009

lunedì 14 settembre 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (IV - Robot)

Alëša aveva già visto numerosi ginoidi, nuovi di fabbricazione, ma come quello mai, così perfettamente somigliante all'essere umano. Non si stancava di studiare la struttura fisica di quel ginoide, cercando qualche particolare che ne tradisse la fabbricazione meccanica, senza trovarne.
«Stiamo andando al Sacrario di Trento» iniziò a dire Daniela mentre guidava.
«Come mai al Sacrario?» chiese Alëša, finalmente distogliendo lo sguardo da lei e volgendosi alla strada, che scorreva veloce sotto le ruote dell'auto.
«Al Sacrario è conservato un vecchio robot, e pensiamo che studiando le sue caratteristiche potremmo ricavarne qualcosa di utile»
«Vecchio... quanto? Da quanto tempo si costruiscono i robot?» chiese di nuovo Alëša.
«Da più tempo di quanto tu possa immaginare» replicò Daniela rivolgendosi a lui.
Arrivarono al cimitero monumentale. Il Sacrario si trovava al suo interno, costruito in stile neoclassico e circondato da colonne di marmo. Per accedervi, Daniela e Alëša scesero la scalinata di accesso e poi, attraverso una scala elicoidale, giunsero all'ingresso della cripta. Solitamente la cripta rimaneva chiusa alle visite, ma il permesso speciale di cui disponevano permise loro di entrare.
«Avrai notato che qui non esistono ascensori. In alcune zone, qua da noi, c'è ancora il culto del primitivismo.» Ogni volta che gli rivolgeva la parola quel ginoide mostrava la sua natura di macchina: ogni ragionamento era precisissimo e dotato di una logica incontestabile. Il linguaggio freddo e calcolato non presentava, a suo vedere, alcuna curvatura di umanità. Così differente da Sonja, lucida anche lei, ma dotata di ben altra vivacità mentale, che la portava a spingere il suo pensiero verso temi mai esplorati e possibilità ignote. Ginoide perfetto, quello, ma non era Sonja.
La distrazione di Alëša dovette venir meno, una volta entrati nella cripta. Di fronte a lui, con gli occhi accesi e luminosi, le braccia alzate a metà, c'era una figura umana dallo scintillio metallico giallognolo.
«E' un robot» disse intimidito Alëša, «ma è metallico.»
«Peggio», disse Daniela, «non è vivo»
«Ma quando è stato costruito?» chiese Alëša avvicinandosi a quell'essere inanimato, timidamente toccandone le rigide estremità.
«Durante gli anni che vanno dal 1910 al 1915. In quel periodo in Italia si respirava un grande fervore intellettuale. Il Futurismo investiva tutti i campi dell'arte, coinvolgendo anche riferimenti sociali e politici. Esaltava la fiducia nel progresso, e il futuro doveva essere lì e subito. La costruzione di un automa come questo ne è un esempio»
«Non sapevo che ne fosse stato realizzato uno. Se ce ne fossero stati, al centro ricerche della compagnia dove lavoravo, avrei dovuto saperlo.»
«Solo in Italia ne sono stati realizzati. Qui, la ricerca del nuovo portò al modernismo tecnologico, mentre da voi in Russia fu l'elemento sociale a prevalere. Che si sappia, comunque, questo è l'unico esemplare esistente, di questo tipo, anche se si dice che da qualche parte ne esista un altro, di un tipo più evoluto.»
«Ma che aiuto può darci un robot morto? Insomma, disattivato.»
«I primi robot realizzati erano completi, comprendevano tutti i sentimenti umani. Riesci a seguirmi?»
«Sì. Vuoi dire che ha in sé anche il sentimento d'amore?»
«I robot furono costruiti con la compresenza di sentimenti buoni e cattivi, quindi amore e odio, schiettezza e falsità, eccetera. Poi però, nel più banale travisamento della tematica futurista, la commissione che doveva approvarne la produzione ordinò di cancellare dalla mente robotica il sentimento d'amore, ritenendo che i robot dovessero essere prodotti per scopi esclusivamente bellici, in previsione della guerra che stava per scoppiare. Tentarono invece di programmare i robot ai fini della riproduzione futuristica della specie, con riproduzione sessuata, sapendo che la guerra avrebbe abbattuto la parte migliore della generazione dell'epoca.»
«E ci riuscirono?» chiese Alëša, intimorito da quella rivelazione.
«No, i robot non possono riprodursi.»
«Esiste però la possibilità che una macchina si autoriproduca?» la incalzava, Alëša, con le domande, tentando di coglierla in fallo.
«John Von Neumann, l'ideatore della famosa architettura per calcolatori elettronici, ipotizzò in un suo studio una macchina in grado di autoriprodursi, ma non è mai stato possibile realizzarla.»
«Come mai?»
«Per autoriprodursi, la macchina dovrebbe compiere un lavoro e quindi consumare energia. Per produrre una macchina simile a se stessa, la macchina dovrebbe utilizzare tutta la sua energia e dato che l'energia iniziale è limitata, questa scemerebbe con l'incremento del lavoro per non arrivare mai al compimento definitivo. Non esiste una macchina con energia inesauribile.»
Come ebbe finito, Daniela si avvicinò al robot, gli toccò le braccia, il dorso e la testa, cercando eventuali canali di collegamento, ma non ne trovò.
«Possiamo andare, non abbiamo più niente da fare qui» proferì seccamente il ginoide, invitando il suo collega a seguirla mentre prendeva la strada dell'uscita.
Alëša continuava a pensare, accanto a quel ginoide diventato ora improvvisamente silenzioso. Era impossibile accedere ai dati di quel robot, però forse ce n'era almeno un altro, dotato ancora di sentimento amoroso originale.
Questa spiegazione fornì, di ritorno dalla missione fallita, ma il capo gli disse che la strategia sarebbe cambiata. Ora doveva solo riposarsi da quella lunga giornata.
Solo, nella sua camera, Alëša si preparava a coricarsi. Pensava a Daniela, così bella, ma che probabilmente non sarebbe mai stata capace di amare. Si torturava cercando di capire cosa potesse servire, ad una mente ed un corpo automatici, per amare. Sarebbe bastato il programma corretto, che però ancora non era riuscito a trovare? Sarebbe bastata solo un'altra geniale equazione per sciogliere il bandolo e risolvere il problema dell'amore? Sapeva di non poterselo spiegare, che nemmeno per l'uomo è facile spiegarsi questo mistero. La mente di un ginoide del tipo di Daniela era programmata, ma era programmata anche per fare esperienza, e bastava che quella mente fosse stata lasciata libera di volare, priva dei rigidi vincoli della programmazione: allora sì che avrebbe potuto fare esperienza, perfino esperienza d'amore. I pensieri poi vagavano, e andarono a toccare la sua persona, lui stesso, così simile al robot nell'essere privo di esperienza, anche lui impossibilitato a scegliere, come a far parte di quel grande ingranaggio che con l'uso di una tremenda bugia facevano passare per realtà. Cercava di ricordare quando mai avesse potuto scegliere liberamente, perché ogni volta si sentiva stretto da vincoli, come se un programma dai contorni rigidi gli impedisse qualunque libera scelta. Forse l'aveva creato lui, quel programma, per sé, ma allora l'aveva creato per una persona che non conosceva perché, se stesso, non si era mai conosciuto veramente. E soprattutto riteneva di non aver mai conosciuto il vero amore, quindi come poteva scrivere un programma di cui non conosceva la variabile fondamentale? Pur continuando a tormentarsi con questi pensieri, dopo poco si addormentò.

4 - continua

giovedì 3 settembre 2009

Javier Girotto e Aires Tango "La Luna"

DIFFERENTE E' LA REALTA' (III - Daniela)

Alëša entrò nell'ufficio del capo: «Voleva vedermi, ingegnere?»
Il responsabile della produzione, un uomo sulla quarantina un po' grassoccio, dal viso rotondo che non aveva nulla di notevole tranne un'ampia fronte spaziosa, lo ricevette cordialmente. «Gradisce un aperitivo?» gli chiese, mentre estraeva dal digital-frigo due bottigliette tronco coniche dal caratteristico design mai mutato negli anni, il che rivelava come quel manager di un'azienda tanto futuristica ci tenesse a conservare le tradizioni.
«Sì, grazie! Con ghiaccio.» I 10 cl. della rossa bevanda colmarono i rispettivi bicchieri.
Una volta brindato all'incontro, l'ingegnere non perse poi tempo a delineare i termini del motivo per cui lo aveva convocato.
«Sono stati fatti grandi passi avanti in questi mesi, grazie alle risorse che tutti abbiamo impiegato nel progetto. Il sentimento d'amore fa ora parte della personalità dei robot che produciamo. Alcune unità di produzione sono già state consegnate e per un po' funzionano alla perfezione.»
«Per un po'?» intervenne Alëša.
«Sì, solo per un po', perché è vero che riescono ad instaurarsi relazioni tra umani e robot, però queste durano non più di qualche settimana»
«E poi?» chiese ingenuo Alëša che a seguito dell'isolamento nella baita sembrava divenuto estraneo ad ogni discorso imperniato sulla realtà quotidiana, figuriamoci per quel che poteva riguardare anche solo frammenti di discorso amoroso.
«E poi, e poi... finiscono nella pattumiera. Regolarmente l'androide o, più spesso, il ginoide, prendono e se ne vanno, lasciando il loro partner umano nella disperazione totale, peggiorando quindi la sua situazione, già penosa, che l'aveva portato alla richiesta di un robot di compagnia.»
«Non ero a conoscenza di questa situazione, ingegnere»
«No, non poteva esserlo infatti. Lei e la sua collega Sonja Ivànovna avete fatto un lavoro eccellente. Credo però che ora viviate un po' troppo isolati. Ciò è stato un bene finché il vostro lavoro doveva essere tutelato sotto un certo aspetto di privacy, ma ora che la robotica sta entrando prepotentemente nella vita quotidiana è giusto che entrambi vi caliate di più nella realtà. Credo che un vostro trasferimento avverrà prossimamente. Intanto ho pensato, per lo studio del problema di cui le parlavo, di affiancarle un aiutante.»
La novità stupì non poco Alëša, ormai abituato a lavorare braccio a braccio con Sonja. «Bè, non so come la prenderà Sonja»
«Le parlerò io, se preferisce»
«No, ingegnere». Tirò un profondo respiro. «Mi dica pure chi è il mio collaboratore»
«Passo subito alla presentazione». Spingendo un pulsante del telecomando che aveva sul tavolo, l'ingegnere attivò l'apertura della porta. «Ho il piacere di presentarle Daniela G. Olivetti.»
Appena la porta si aprì, Alëša non prestò più attenzione all'ingegnere e rimase inchiodato a guardare la donna che era entrata. Aveva capelli neri, lunghi fino alle spalle, e occhi azzurri. Indossava un paio di pantaloni attillati che scendevano fino al ginocchio e mettevano in evidenza la curva delle natiche; sopra, una guaina in spumite fosforescente cingeva e rivelava bei seni floridi e le lasciava scoperto un ventre piatto e dai contorni definiti. La bella linea degli occhi era tracciata da un lieve tocco di matita, mentre le palpebre erano sfumate di rosa; il resto del viso era di un candore lunare. Bellissima, e la sua aria severa e distaccata le conferiva quel tono di mistero che tanto lo affascinava.
L'ingegnere colse l'espressione inebetita del suo collega e lo scosse con un braccio: «Che bruna, eh?Uno schianto!»
L'aria stupita di Alëša, sorpreso di sentire un tale apprezzamento in presenza della ragazza, lo indusse a fare una precisazione. «Ah, come avrà capito, la G. sta per Ginoide.»

3 - continua

venerdì 28 agosto 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (II - Un mondo a parte)

«Ciao Sonja»
«Ciao Alëša»
Alëša si sedette alla sua scrivania, davanti al proprio computer. Il laboratorio della “Elettronica & Vita Adige s.p.a.”, dove i due lavoravano, era molto diverso dal luogo che li aveva visti incontrarsi: il palazzo della Capekprom. Si trattava di una piccola baita immersa nel verde delle Alpi orientali, e loro due erano gli unici residenti. Portavano avanti il lavoro in totale isolamento, lontano da occhi indiscreti, privo di qualsivoglia distrazione e nessuno avrebbe scommesso che in quel luogo si svolgeva la ricerca più all'avanguardia della tecnologia robotica europea. Per un ulteriore anno avevano lavorato alacremente allo sviluppo dei programmi necessari al funzionamento dei robot, una volta fallito il progetto della Capekprom. Alëša non avrebbe mai smesso di ringraziare la sua amica Sonja per come, durante l'assalto dei soldati alla fabbrica, lo svegliò nel cuore della notte per avvertirlo di ciò che stava succedendo, dandogli il tempo di scendere al centro ricerche e salvare il computer portatile in cui erano registrate le principali sequenze di programmazione a cui aveva lavorato. Gli sembrò incredibile, come lei potesse trovare la via di fuga più adatta, nel buio totale, eludendo la stretta sorveglianza che non doveva permettere a nessuno di uscire. Come riuscisse a resistere al gelido clima delle notti passate all'addiaccio, anzi adoperandosi pure a scaldare lui, con il calore del suo corpo, tenendolo abbracciato a sé. Sonja ebbe l'idea di raggiungere l'Italia, per continuare lì lo studio della scienza robotica a cui ritenevano dover impegnare a fondo la loro professionalità. Sonja gli aveva salvato la vita e a lei doveva la massima riconoscenza.
Anche in questa nuova dimensione lavorativa, Sonja non perdeva occasione per dimostrare la sua intelligenza finissima e una lucidità mentale senza eguali e i due, insieme, fornivano un contributo importantissimo nello sviluppo delle ricerche, coordinato in equipe con il centro robotico di Trento.
In quel periodo, però, Sonja gli appariva un po' distaccata, un po' presa da altre cose, non più propositiva nei suoi confronti come era abituato a conoscerla. Lei aveva cercato di insegnargli il linguaggio Prolog ma Alëša, per non smentirsi, per mai rinnegare quel suo stupido orgoglio maschile che lui stesso si riconosceva, aveva di propria iniziativa iniziato a studiare il Python, naturale evoluzione del Pascal nella programmazione strutturata.
«Che fai, Sonja?», le chiese Alëša mentre batteva velocemente le dita sulla tastiera.
«Sono in collegamento interfacciale sulla rete» gli rispose frettolosamente Sonja.
«Stai comunicando?»
«Sì, con il sistema informativo di Trento»
«Con un programmatore o con un robot?»
«Non puoi usare il termine 'robot' in un caso simile, Alëša. Quando si trova sulla rete, l'androide – termine più corretto – si spoglia della sua consistenza fisica e diventa un'entità elettronica. Sto appunto parlando con una di queste. Interessanti le conclusioni a cui riescono ad arrivare, sono dotate di finissima intelligenza artificiale»
“Un robot” pensava Alëša, “ma sarà di quelli capaci di innamorarsi?”.
Vivendo così isolato per tanto tempo, Alëša era diventato moderatamente restio ad ogni intrusione esterna nella sua vita costruita in siffatta totale tranquillità. Non era sempre stato così, anzi! Nonostante la sua naturale inclinazione alla riservatezza, era ben felice di lavorare in squadra con elevato spirito di collaborazione. Forse era Sonja quella che tendeva di più ad isolarsi e ora ,che stava passando tanto tempo insieme a lei, aveva assorbito caratteri della sua personalità. Non tutti però, che per certi aspetti Sonja gli appariva tanto lontana da lui. La conosceva abbastanza per capire che, in quel periodo, aveva altro a cui pensare, lontano, in un altro mondo. Già, perché a lui sembrava di vivere in un altro mondo, tanto distante dalla realtà quotidiana della maggior parte delle persone. Non più all'interno di una montagna, ma lungo soleggiati declivi, però sempre isolati dal mondo. Cambiava forse qualcosa? Qualcosa sì perché, non lavorando più in squadra, non avendo più tante occasioni di confronto, le sue geniali intuizioni si andavano smorzando. E ora, che nemmeno Sonja lo incoraggiava più tanto, lui si sentiva un genio incompleto.
Lo squillo del telefono modulare lo distolse da questi pensieri, che lui stesso riteneva pericolosi per la sua salute. Rituffarsi a pesce nel lavoro era l'unica soluzione che conosceva, in siffatti casi, e questo stava proprio succedendo ora che il direttore della produzione lo aveva invitato a presentarsi da solo presso gli uffici direttivi di Trento.

2 - continua

giovedì 27 agosto 2009

Videocracy

lunedì 24 agosto 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (I - antefatto)

L'età dei robot stava per avere inizio. Una volta formulata l'equazione risolutiva, la Capekprom lanciò la produzione in serie di androidi e ginoidi dotati di sentimento amoroso. I sotterranei della fabbrica, situata nelle vicinanze di Perm, nella zona degli Urali, si animarono di un infervorato processo produttivo che occupava uomini e macchine nella predisposizione della novità tecnologica appena conquistata. Tale iniziativa tuttavia non incontrò il favore del governo centrale, che prontamente intervenne per bloccare sul nascere l'assemblaggio dei nuovi robot.
Lo stato russo era guidato da un regime dittatoriale che controllava in modo totale l'informazione, a seguito dell'eliminazione di ogni testata giornalistica non favorevole al governo. Attuava poi una pratica imperialista nei confronti delle piccole repubbliche confinanti, che venivano man mano inglobate, andando a formare una confederazione di stati, come era già stato molti anni prima.
Il primo ministro ed il suo gabinetto, che avevano completamente esautorato il parlamento dei suoi poteri, decisero la sospensione forzata della produzione dei nuovi robot. La convinzione del capo del governo era che l'utilizzo dei robot doveva essere volto unicamente a scopo bellico e riteneva dannoso che fosse loro conferito il sentimento amoroso. Venne autorizzato l'intervento dell'esercito per la chiusura forzata della fabbrica e ordinata la distruzione degli automi già fabbricati. Nonostante l'ardita localizzazione, in una zona impervia e di difficile raggiungimento, presto i carri armati giunsero alle porte della Capekprom. Dietro la minaccia dell'intervento armato, il personale fu costretto a consegnare i progetti di lavoro e i programmi informatici.
I militari entrarono nei sotterranei distruggendo gli apparati produttivi e gli automi già fabbricati. Il fatto che due programmatori attuarono una
rocambolesca fuga notturna tra le montagne, riuscendo a salvare solo un computer portatile ed eludendo ogni sorveglianza armata, non venne mai confermato dalle fonti ufficiali russe. Fonti non ufficiali ritengono però che i due giovani informatici, un uomo e una donna, siano riusciti ad uscire dai confini e trovare rifugio in Italia.
Lo stato italiano, d'altro canto, di lì a breve si liberò del regime semidittatoriale che stava prosciugando le sue risorse economiche, naturali ed intellettuali da molti anni. Il più volte presidente del consiglio era uscito sconfitto alle ultime elezioni ed era stato portato via a forza dallo scranno del senato a cui si era incatenato, in nessun modo intenzionato ad accettare la sconfitta.
Negli ultimi mesi prima delle elezioni la gente si era riversata nelle piazze a manifestare attivamente contro la politica retrograda e passatista del governo. Studi sociologici confermano che tale rinnovato orgoglio partecipativo fosse dovuto al minor seguito che stava subendo la televisione: effettivamente, proprio durante il periodo pre-elettorale si registrò un netto calo degli ascolti televisivi, in concomitanza col fenomeno dei disturbi nella ricezione da parte degli apparecchi TV. Non si esclude che causa di tale problema potesse essere l'interferenza creata da un'entità cibernetica penetrata nella rete televisiva. L'allontanamento dalla televisione portò ad una nuova presa di coscienza dei problemi reali, che attanagliavano la società, così che prese nuova forza la via ad un cambiamento. Il nuovo governo, prontamente costituito, fin da subito riuscì ad attuare un nuovo ordine nel paese, che progredì rapidamente e assunse il ruolo di faro nel settore delle nuove tecnologie.


1- continua

lunedì 17 agosto 2009

NON FA UNA PIEGA (parte 2: l'equazione risolutiva)

L'ascensore scendeva veloce lungo la struttura in acciaio e cristallo che percorreva l'edificio in tutta la sua altezza, consentendo un'ampia vista panoramica sull'esterno.
Quando poi si immergeva nel sottosuolo, la cabina si illuminava grazie ai led che emettevano fasci di luce bianca. I numeri dei piani si succedevano, in sequenza discendente, sulle videocolonnine che riproducevano ciò che era situato al di fuori. L'ascensore iniziò la frenata e si arrestò dolcemente al piano interrato -15. Un corridoio conduceva al laboratorio e il tappeto mobile consentì a Sonja ed Alëša di raggiungerlo repentinamente. Sonja si diresse verso la propria postazione e con pochi gesti delle dita al touchscreen aprì il programma: la scritta "HELLO DOLLY" apparve per pochi secondi nella window per poi lasciare spazio al testo del programma.
«Andiamo subito a verificare la subroutine» cominciò a dire Sonja, mentre le sue dita battevano rapidamente sulla tastiera e poi, rivolta ad Alëša: «Ecco, questo è il punto dolente». Con un gesto circolare delle dita, Sonja evidenziò sul touchscreen un blocco di poche righe del programma.

vanilla(true).
vanilla((A,B)):- vanilla(A), vanilla(B).
vanilla(I):- clause(I,B), vanilla(B).

Alëša guardò attentamente, cercando di interpretare il senso di quei comandi dati. Sonja si accorse delle difficoltà di lettura del collega: «Non conosci il Prolog... Uhm, cerco di spiegartelo» gli disse e schizzò alcuni appunti su carta. «Secondo me non si arriva al dunque perché questo sistema lineare non presenta definitivamente soluzioni, infatti sono state introdotte tutte le variabili che determinano le sensazioni amorose.»
«Sì, vedo, questa è la variabile eros, poi c'è mania, ludus, pragma» completò Alëša, che stava comprendendo solo a grandi linee.
«Sì, sì, questo è evidente, tutte queste variabili sono note e conosciute, ma c'è questa equazione che risulta incompatibili con le altre: guarda». Al centro dello schermo appariva l'equazione:

(I ^ B) + (I ^ (- B)) = 0

«Capisci, Alëša?» gli chiese Sonja.
«Bè, credo di sì» rispose Alëša, «le variabili indicano: la I l'innamoramento e la B il bacio, come manifestazione dell'innamoramento stesso».
«Già» continuò Sonja «e il prodotto vettoriale tra le due variabili deve dare come risultato A, amore, ma, vedi? Il risultato deve arrivare con il modulo della variabile B, cioè con il suo valore sia positivo che negativo».
«Comincio a intendere: la prima parte dell'equazione rappresenta la componente dell'amor profano, per cui la manifestazione d'amore, quindi il bacio, è immediata conseguenza dell'innamoramento, e ciò è rappresentabile con la proposizione I → B, mentre può e non può valere -I → B. La seconda parte dell'equazione rappresenta invece l'amor sacro, per cui c'è innamoramento anche senza bacio, la B negativa, insomma, e quindi non vale I → B e nemmeno B → I, ma solo -I → -B». Alëša si sorprendeva di quanto potesse a lungo parlar d'amore, tanto meno padrone della materia si sentiva rispetto alla sua interlocutrice, che concluse seccamente: «La somma tra le due componenti dà come risultato un bello zero, un nulla di fatto.»
«Che menti complesse, però, che sono state fornite agli automi. Basterebbe saper mettere da parte solo alcune delle proprie convinzioni.»
«Sì, questo fanno gli umani, per noi è abbastanza semplice, ma ridurlo in termini matematici, in modo che il cervello cibernetico possa comprenderlo e attuarlo, sembra un'impresa impossibile». Sonja si stava scoraggiando.
Sonja ed Alëša trascorsero il successivo minuto in perfetto silenzio, osservando il grande monitor olografico al centro della sala che mostrava due robot, maschio e femmina, fermi, senza che compissero il minimo movimento. D'un tratto, Sonja sobbalzò sulla sua sedia: «Basterebbe che almeno uno dei due si muovesse, facesse un cenno all'altro, qualunque cosa, però almeno... Cazzo! Prendete una decisione! Scegliete!» Sonja si stava alterando e voleva fortemente arrivare al risultato.
Già, lei avrebbe saputo come fare, pensava Alëša. Ma pensava anche a come risolvere il problema e d'un tratto eruppe in una manifestazione euforica: «A meno che... a meno che...»
«A meno che cosa?» sobbalzò Sonja girandosi verso Alëša che stava trottando verso il suo computer.
«Scegliere, scegliere... sequenza, sequenza» ripeteva freneticamente.
«Ma che dici? sei uscito di senno?» Sonja iniziava a preoccuparsi. «Ma no, ma no» continuava lui, in quello che poteva sembrare un farneticare «è il teorema di Böhm-Jacopini. La programmazione in Pascal è basata su tale teorema e il programma deve essere scritto utilizzando tre strutture di controllo e precisamente: la sequenza, la ripetizione e la scelta.»
«Non capisco dove vuoi arrivare» Sonja era sempre preoccupata, ma iniziava a fidarsi di quello strano scatto che aveva infervorato il suo amico.
«E' semplice». Alëša aveva avvicinato il suo viso a pochi centimetri da quello di Sonja, che teneva tesissimi i tendini del collo mantenendosi immobile. «Sequenza: ricordo della sequenza di amori passati. Ripetizione: per la volontà di ripeterli e rinnovarli. Scelta: la migliore alternativa possibile. Questa subroutine è da implementare in Pascal. Capisci? Posso risolvere il problema utilizzando una programmazione strutturata, e non logica». Alëša scriveva velocemente il programma e alla fine lanciò la runtime, attendendo trepidante il risultato. Il suo computer era connesso al server, dunque aveva aggiunto quello che riteneva essere un tassello fondamentale al completo programma. «I robot dovrebbero... innamorarsi...» disse Sonja, ma le immagini olografiche erano ancora ferme. «Non sapranno mai cos'è l'amore» disse sconsolato Alëša, ma poi d'un tratto: «No! Non sanno cos'è l'amore. Non lo sanno... ancora. Ecco, loro non possono creare la sequenza degli amori passati, perché non ne hanno mai avuti, ecco perché!»
«Sì, ma siamo al punto di partenza» disse Sonja «non avendo mai avuto un amore non possono ricordarsi quanto sia bello e dunque non ambiscono a realizzarne uno.»
«Vero, Sonja, vero, ma loro possono... immaginarselo». L'aria sorniona di Alëša aveva assunto un'espressione arguta. «Bisogna cambiare nome alle variabili. Via le maiuscole, introduciamo le lettere minuscole: la i al posto della I. La i, che rappresenta l'unità immaginaria.»
«I numeri complessi!» esclamò Sonja, che aveva iniziato anche lei ad agitarsi, travolta dall'entusiasmo di Alëša.
«Sì! Ed ecco l'equazione». Sullo schermo apparivano in rapida sequenza nuove formule: «M'innamoro e bacio 'and' m'innamoro e non bacio si sintetizza così», bofonchiava Alëša mentre scriveva le formule:

(i ^ (-B)) ^ (i ^ B) = -i²B²

«Ora, aggiungiamo la componente irrazionale. Mettiamo sotto radice. Dato che i è uguale alla radice quadrata di -1, il risultato è...»

RADQ (-i²B²) = RADQ (- (-1)B²) =RADQ (B²) = B

«Sì! Vai!» Alëša e Sonja, insieme, diedero un singolo impulso al tasto invio e partì la runtime.
Sullo schermo olografico la scena iniziò ad animarsi. I due robot sollevarono di scatto il capo e presero a guardarsi, poi si avvicinarono lentamente l'uno all'altro e finalmente si baciarono. Uno scroscio di applausi ruppe il silenzio della sala e tutti i programmatori, alzatisi dalle proprie postazioni, eruppero in grida di esultanza. Anche Sonja non riuscì a trattenersi: «Bravo Alëša» gli disse e gli diede un bacio. Non era propriamente il bacio che stava avvolgendo l'animazione dei due robot olografici, ma ad Alëša anche quell'amichevole bacio, dato in modo così affettuoso, sembrò una gran delizia della vita. Si riprese però subito dall'emozione e diede la sua spiegazione circa il buon esito dell'impresa: «Vedi? non l'addizionale logico OR era da utilizzare, ma l'operatore AND. L'amore non è dato dalla somma di diverse componenti, bensì dal loro intreccio».
Notata la curiosità che aveva insinuato in Sonja, Alëša continuò: «La logica è propria di una mente razionale, che è componente anche del cervello umano. Il desiderio è un fattore di logica, ma perché tale desiderio si manifesti in una emozione - componente illogica - questo deve essere impresso nella mente inconscia. Come parte del processo creativo, per imprimere il desiderio nella mente inconscia occorre tradurre il desiderio dal linguaggio logico al linguaggio comprensibile dalla mente inconscia».
Sonja disse: «E' la logica che dà scacco alla logica».
«Già» riprese Alëša, «In questo caso, dovendolo imprimere in una macchina, abbiamo tradotto il linguaggio umano in linguaggio macchina. Così, in questo modo, la macchina ha percepito il Bello dell'Amore».
A questo punto Alëša non poté trattenere una delle sue tanto amate citazioni «Forse tu non pensavi ch'io loico fossi»
Alché Sonja manifestò una perplessità: «Ma la macchina non ha in sé il sentimento della bellezza: è il nostro occhio che la costruisce». Questa obiezione fece scattare qualcosa anche in Alëša: «Allora... forse i robot possono diventare umani?»
Pronta ribatté Sonja «O forse è l'uomo che può diventare robot. L' uomo avrà un cuore d'acciaio e una mente fredda»
Alëša percepì questa precisa situazione come un déjà vu e dalla sua bocca uscirono spontanee le parole: «Un pò quello che dicevano i Futuristi, mi pare.»
«Ma sì! Bravo che ti ricordi!» esclamò Sonja con entusiasmo.
Nel frattempo il presidente della company, avvisato di ciò che si era realizzato, era sceso dal suo ufficio situato all'ultimo piano. Strinse la mano ad Alëša e si complimentò con lui e con tutto lo staff di programmatori: «Complimenti, ragazzi, ora possiamo dare il via al progetto: verranno realizzati robot capaci d'innamorarsi».
Alëša ringraziò, ma subito le perplessità si insinuarono nella sua mente: «Sì, è un grande risultato, ma noi, noi umani, che vantaggio potremmo trarne?»
«Bè, abbiamo tanto da imparare, potremmo imparare qualcosa noi da loro», ribattè il presidente che si accomiatò rapidamente.
Sonja però aveva qualcosa da aggiungere: «E poi, se perfino un robot è capace di innamorarsi, non pensi che ne saresti capace anche tu? testone di un Alëša!»
«Ah, sì, dovrei essere anch'io un pò meno razionale. In questo caso l'irrazionalità ha sbrogliato il bandolo, con l'irrazionale si può far tutto»
«Con l'irrazionale o... l'immaginario?» disse sorridente Sonja e in un bel momento gli si sedette sulle ginocchia, chiedendogli se poteva lasciarla stare un pò così. Lui, accogliendola, le appoggiò la mano sulla spalla e stettero così per un pò.
Alëša realizzò in quel momento che tutto quanto sarebbe dovuto succedere era già accaduto.

2 - fine (quasi)

lunedì 10 agosto 2009

NON FA UNA PIEGA (parte 1: un lavoro di squadra)

NON FA UNA PIEGA
(I fatti narrati si sono svolti nell’immediato futuro)

program Nevermind(input, output);
var
n1,n2:integer;x1,x2,ris,life:real
begin
writeln('Inserisci n1');
readln(n1);x1=sin(n1);x3=cos(n1)
writeln('Inserisci n2');
readln(n2);x2=cos(n2);x4=sin(n2)
ris:=x1+x2;
life:=x1*x2+x3*x4;
writeln('La somma e'' uguale a ',life;
readln;
end.


Il cursore lampeggiava intermittente alla fine del testo della routine, scritta in lineare sequenza a scarabocchiare la bianca monotonia del monitor. Aleksej aveva lanciato la runtime, attendendo il risultato con la consueta tranquillità. Si rendeva conto che in quel periodo stava affrontando il lavoro in un modo che poteva apparire un po' distaccato, ma l'attinenza che trovava tra il lavoro che svolgeva e la sua vita privata lo induceva a tentare di risolvere tramite l’elaborazione informatica i problemi della sua realtà. D’altronde, ciò era lecito e comprensibile. Aleksej Vladimirovič era alle dipendenze della Capekprom, la company della cibernetica, che stava sviluppando progetti sull’intelligenza artificiale ed erano già stati realizzati prototipi di automi dotati di autonomo pensiero. Aleksej era convinto che il suo pensiero, abbinato ad una macchina, l'avrebbe notevolmente migliorata, più che se fosse stata dotata dei pensieri degli altri programmatori che lavoravano al progetto. Erano tutti lì, in quella enorme stanza fredda ed asettica che occupava completamente il piano sotterraneo. L'architettura dello stabile era a dir poco innovativa: situata alle pendici di una montagna, si sviluppava in altezza su più piani concentrici mentre penetrava nel profondo sottosuolo attraverso gallerie scavate nel cuore della roccia. Dentro la montagna si svolgevano dunque le ricerche più avanzate,quelle che occupavano i migliori cervelli della Russia, e in quel posto sperduto tra gli Urali erano stati radunati. L'ambiente era avvolto in un silenzio irreale, rotto soltanto dal frenetico ticchettio di decine di dita sulle tastiere. Campeggiava al centro della stanza uno schermo olografico, che era per la maggior parte del tempo in stand-by, segno inequivocabile che le ricerche erano giunte a un punto morto. Seduto davanti al proprio computer, Aleksej osservava la funzione sinusoidale che si stava creando sul suo monitor. Si trattava di un esperimento per dotare gli automi di memoria cognitiva, in modo che fossero capaci di abbellire i ricordi che, vissuti al momento in un qualche periodo passato, potevano sembrare insulsi. Le variabili inserite si riferivano alla propria vita. L’ultima parte della funzione sinusoidale era caratterizzata da frequenti picchi in salita e in discesa. Aleksej ipotizzava spiegazioni sui motivi a cui potessero riferirsi.
Le scrivanie dei programmatori erano distribuite nella stanza in modo casuale ed erano abbastanza distanti tra loro. La scrivania alla sua destra, in una posizione leggermente avanzata, era occupata da Sonja Ivànovna, una ragazza che lavorava lì da circa un anno. L'aveva trovata lì, come gradevole novità, una volta tornato dalle ultime ferie: un anno prima, appunto. Già, si era ricordato che non aveva più preso un attimo di pausa da quella volta. Sonja l’aveva fin da subito favorevolmente impressionato, così minuta e dal fisico snello, con quel taglio corto dei capelli biondi e i begli occhi azzurri, così penetranti ogni volta che guardavano dritti i suoi, piccoli e castani, che non sempre trovavano il coraggio di rispondere al suo sguardo. A parte la innegabile bellezza, Sonja gli era piaciuta soprattutto per come si era presentata, rivolgendogli una domanda spiazzante: “Programmi in Ada?” gli aveva chiesto curiosa. “Ah...ehm, no... programmo in Pascal”, le aveva risposto semplicemente, chiudendo il discorso nonostante volesse continuarlo. Lo aveva deliziato il fatto che lei lo ritenesse in grado di utilizzare un tal elevato linguaggio di programmazione. Già, conosceva la superiorità degli altri linguaggi rispetto a quello che lui adoperava, quello che aveva imparato per primo e aveva coltivato nel tempo. Solo lui programmava in Pascal; la maggioranza degli altri, tra cui Sonja, programmavano in Prolog, il linguaggio più adatto allo sviluppo dell'intelligenza artificiale. Il Pascal era un vecchio linguaggio, tipico esempio di paradigma della programmazione strutturata, che delinea le informazioni in rigorosa sequenza. Un sistema molto utile in campo economico, ma che affrontando problemi scientifici incontrava numerosi limiti. Era comunque considerato basilare ai fini dello specifico progetto che era allo studio di quell'equipe, dato che poteva implementare problemi inerenti alla conoscenza del passato. “Il futuro dipende dal passato” amava ripetere e ripetersi Aleksej, convinto com'era dell'importanza della memoria, come base di conoscenza per risolvere ogni classe di problemi. L'automa dotato di una grande quantità di dati avrebbe dovuto saperli elaborare per costruire schemi di proiezione nella risoluzione di problemi. “Sì, certo Alëša, ne son convinta anch'io” gli diceva sempre Sonja, e glielo diceva con una voce tranquillizzante e sicura, dal tono garbato, che non dava adito a dubbi o incertezze. Ma, una volta voltato il capo e non più incantato dal tono di quella voce suadente, Alëša si domandava sempre quanto ci dovesse credere veramente. Lo stava forse prendendo in giro, dandogli ragione solo per troncare lì il discorso? Forse non voleva più sentire i suoi discorsi proprio quando a suo parere iniziavano a farsi interessanti. Quando però incrociava nuovamente il suo sguardo, quegli occhi gli apparivano sinceri e subito si pentiva di ciò che aveva appena pensato.
Ore, giorni, un anno. In quell’anno, vicino a quella ragazza, Alëša pensava che l’avrebbe potuta conoscere meglio, ma durante la giornata lavorativa si scambiavano solo poche parole, che riguardavano per la maggior parte suggerimenti sull’impostazione del lavoro. E sì, che poteva fare di più, poteva e voleva conoscerla meglio. Quello odierno sarebbe stato il gran giorno.
Ancora seduto, lo stato di agitazione che Alëša ben conosceva iniziò ad attanagliarlo: le estremità delle mani iniziarono a raffreddarsi e una sensazione di brivido diffuso attraversò tutto il suo corpo. Si alzò, cercò di rilassare il respiro e si avvicinò alla scrivania di Sonja. «Ehi, senti, fai la pausa pranzo?»
Lo guardò con aria curiosa Sonja, perché era la prima volta che il suo collega le si rivolgeva a quel modo. «Certo!» disse lei.
«Bè» riprese Alëša, «penso che andrò alla mensa. Hai presente la mensa? Al 52° piano. E’... carina, e si mangia bene». Sonja lo guardava sempre più incuriosita, e Alëša, investito dall'arguzia di quello sguardo, si voltò un attimo per prendere coraggio. Alfine riuscì a dire: «Vuoi venire anche tu?pranziamo insieme». La parola insieme, che fino a quel momento si era proibita, assunse un'accentuazione marcata, dal tono goffo e strozzato, ma finalmente era riuscito a pronunciarla, ipotizzando che potevano fare qualcosa insieme.
Poche speranze, comunque, aveva Alëša che la sua proposta sarebbe stata accettata. Troppo abituato era ai rifiuti e sapeva di essere poco convincente, nelle sue richieste. Ebbe subito un ripensamento, temendo dentro di sé che, a seguito del rifiuto di lei, non avrebbe più avuto il coraggio di rivolgerle la parola. Mentre si preparava all’addio da quella cara visione, la voce di Sonja risuonò suadente alle sue orecchie: «Ah, buona idea. Non vado mai alla mensa, mi porto sempre qualcosa da mangiare al volo. E su, al 52° piano, c’è sicuramente una splendida vista sulle montagne innevate. Ma sì, andiamo». Stupore misto a gioia imporporì le gote di Alëša. Il primo passo era fatto, ma ora iniziava la parte difficile. Sarebbe lui riuscito ad intrattenere la ragazza per tutto il tempo, senza annoiarla?
Nessuna difficoltà, invece, si presentò. Le chiacchiere che si scambiarono durante il pranzo furono amabili per entrambi. Lei sorrideva e si divertiva, e tanto ad Alëša bastava. Presto, il dialogo iniziò a vertere sul lavoro. Sia Aleksey che Sonja amavano il proprio lavoro, ma mentre lui all'indubbia perizia e competenza univa un formidabile intuito nella rapida risoluzione dei problemi, Sonja si approcciava al lavoro con un incredibile senso del dovere e di abnegazione, che spesso la portava a passare notti in bianco finché il problema non fosse risolto. Una passione innegabile la pervadeva, in quello che faceva, unendo a ciò una logica perfetta ed una elevata professionalità. Ratio e fantasia si univano in quella ragazza, e Alëša l'ammirava incondizionatamente per questo. Capitava che lavorassero insieme a progetti e spesso, mentre Alëša tornava a casa dopo anche alcune ore di straordinario, non era strano che Sonja passasse la notte lì, a completare il lavoro.
«Hai sentito il problema dell’ultim’ora, Alëša?»
«Beh, sì, non si riesce a innescare un sentimento agli automi»
«Nello specifico, si tratta del sentimento amoroso. Insomma, gli automi non riescono a innamorarsi»
«Già, robot caratterizzati da sessualità maschile e femminile, messi in relazione, per quante combinazioni caratteriali si prevedano, non manifestano di potersi innamorare l’un dell’altro. Sì, conosco il problema, anche se non l’ho studiato. Io mi occupo di memoria cibernetica»
«Non è questo il punto. La memoria è importante, anche per l’essere umano. Insomma, nessuno di noi cancella i propri ricordi, anche in presenza di un nuovo amore. Secondo me dovresti impegnarti anche tu nella risoluzione del problema. Potresti darci un aiuto consistente»
«Sì, potrei studiare la cosa»
«Ne sono convinta. Dai, torniamo giù»
(1- continua)

lunedì 3 agosto 2009

Lo spirito del mare ho pescato



Lo spirito del mare oggi ho pescato,
quando l'ho visto giocare, il mattino,
con gl'immensi flutti, da lor cullato.

Sulla terra l'ho messo a riposare,
nello specchio di sé a mirare il giorno
ed il ripetuto attimo aspettare.

Or ch'è tempo che vuol tornar all'onde
dell'amico mar, sua libertà rinnova.
Va a spiccar la sera, dal cielo, il tuffo.

venerdì 31 luglio 2009

AD ARIANNA APPENA NATA

S'ode di primo mattino
quest'oggi un canto nuovo
e dall'isola di Mino,
Arianna, t'han portato
i tuoi, ricordando il mito,
così hai emesso il tuo primo vagito.

Ma ancor prima l'idea venne
di rallegrar, con te, il mondo,
quando al sentier passò indenne
ai Giulii giardini il Fato,
sennò in altra direzione
avrebbe portato la situazione

Gli amici pensavan bene,
ma non sempre il risultato
è ciò che meglio viene
quando l'impegno è troppo
e allora, senza pensare,
babbo e mamma così feci incontrare.

A lor, Muse regalaro
giorni d'amor e d'incanto.
A me il babbo,amico caro,
donò scienza,arguzia e spasso
e mai negò la compagnia
quand'era da recuperar fede mia.

A cavallo della bici
d'un poeta avea l'aspetto.
Non servirono artifici
per l'amicizia nostra,
che certo non ha scordato
pur or che le pantofole ha indossato.

Da oggi in poi per te, Arianna,
quel geniaccio è al bene tuo
insieme all'amor di mamma.
Sii cara agli dei e giocosa,
la tua vita è già musica armoniosa.

giovedì 23 luglio 2009

Schiaffi alla Cultura

Il FUS è il Fondo Unico per lo Spettacolo, un fondo finanziario che lo Stato, con periodicità annuale, stanzia a favore di Enti lirici e musicali, della danza, cinema e della prosa. La Legge Finanziaria per il 2009 ha previsto un taglio dei fondi destinati al FUS di circa il 30% rispetto al 2008 e non è esclusa la totale eliminazione per i prossimi anni. Il FUS è indispensabile alla vita di ogni ente che lavora nello spettacolo. I tagli vanno nella direzione, impostata dal governo, di limitare gli sprechi, ma il taglio indiscriminato al fondo andrà a colpire tutte le realtà teatrali, sia quelle sprecone che quelle virtuose. Probabilmente molti teatri saranno costretti a chiudere. In questi giorni è in atto una protesta dei lavoratori dello spettacolo, che sono scesi in piazza minacciando il blocco delle attività spettacolistiche e culturali. Si auspica un ripensamento da parte del governo, da attuare con una riduzione dei tagli.

giovedì 16 luglio 2009

Concerto Del Barrio Trio

Ieri nel cortile di Palazzo Ricci lo spettacolo "Viaggio in Argentina", presentato da Del Barrio Trio con i ballerini Pablo Moyano & Marcela Szurkalo, che si sono esibiti in tango, vals e milonga, concludendo con il classico Recuerdo. Ho scoperto altri suoni dell'Argentina, che non è solo tango e milonga. Molto bella la zamba argentina (da non confondersi con la samba brasiliana), rappresentata in modo eccelso, nella danza, dai due ballerini. Ottima musica, splendida cornice.

domenica 12 luglio 2009

venerdì 10 luglio 2009

La Festa

La festa.
Un incrociarsi di volti
e di motori abbrustoliti
sgominati da una lingua di asfalto.

Intrecciarsi di corpi
nel dolce e ingannevole oblio
che i giovani amanti accarezza.

Ognun si racconta in quei panni
convinto di trovare un amore
mentre di bere si colma.

Mi isolo nella spiaggia affollata.
Sto lì dove non vorrei stare
e quel che non vorrei fare faccio.

Come quel che non ha niente ed è felice,
così io desidero il niente che possiedo.
La naturale felicità.

Immagino.
Come districare il nodo senza vederlo.

Scaldarsi nel cuor della Terra
e stringere la sfera del Cielo.
Il disiato e temuto nome pronunciare.

Così dò voce al vero amore
e mi godo la festa
da ogni luogo del presente.


"il vero amore è una quiete accesa"(G.Ungaretti, Silenzio in Liguria)