venerdì 28 agosto 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (II - Un mondo a parte)

«Ciao Sonja»
«Ciao Alëša»
Alëša si sedette alla sua scrivania, davanti al proprio computer. Il laboratorio della “Elettronica & Vita Adige s.p.a.”, dove i due lavoravano, era molto diverso dal luogo che li aveva visti incontrarsi: il palazzo della Capekprom. Si trattava di una piccola baita immersa nel verde delle Alpi orientali, e loro due erano gli unici residenti. Portavano avanti il lavoro in totale isolamento, lontano da occhi indiscreti, privo di qualsivoglia distrazione e nessuno avrebbe scommesso che in quel luogo si svolgeva la ricerca più all'avanguardia della tecnologia robotica europea. Per un ulteriore anno avevano lavorato alacremente allo sviluppo dei programmi necessari al funzionamento dei robot, una volta fallito il progetto della Capekprom. Alëša non avrebbe mai smesso di ringraziare la sua amica Sonja per come, durante l'assalto dei soldati alla fabbrica, lo svegliò nel cuore della notte per avvertirlo di ciò che stava succedendo, dandogli il tempo di scendere al centro ricerche e salvare il computer portatile in cui erano registrate le principali sequenze di programmazione a cui aveva lavorato. Gli sembrò incredibile, come lei potesse trovare la via di fuga più adatta, nel buio totale, eludendo la stretta sorveglianza che non doveva permettere a nessuno di uscire. Come riuscisse a resistere al gelido clima delle notti passate all'addiaccio, anzi adoperandosi pure a scaldare lui, con il calore del suo corpo, tenendolo abbracciato a sé. Sonja ebbe l'idea di raggiungere l'Italia, per continuare lì lo studio della scienza robotica a cui ritenevano dover impegnare a fondo la loro professionalità. Sonja gli aveva salvato la vita e a lei doveva la massima riconoscenza.
Anche in questa nuova dimensione lavorativa, Sonja non perdeva occasione per dimostrare la sua intelligenza finissima e una lucidità mentale senza eguali e i due, insieme, fornivano un contributo importantissimo nello sviluppo delle ricerche, coordinato in equipe con il centro robotico di Trento.
In quel periodo, però, Sonja gli appariva un po' distaccata, un po' presa da altre cose, non più propositiva nei suoi confronti come era abituato a conoscerla. Lei aveva cercato di insegnargli il linguaggio Prolog ma Alëša, per non smentirsi, per mai rinnegare quel suo stupido orgoglio maschile che lui stesso si riconosceva, aveva di propria iniziativa iniziato a studiare il Python, naturale evoluzione del Pascal nella programmazione strutturata.
«Che fai, Sonja?», le chiese Alëša mentre batteva velocemente le dita sulla tastiera.
«Sono in collegamento interfacciale sulla rete» gli rispose frettolosamente Sonja.
«Stai comunicando?»
«Sì, con il sistema informativo di Trento»
«Con un programmatore o con un robot?»
«Non puoi usare il termine 'robot' in un caso simile, Alëša. Quando si trova sulla rete, l'androide – termine più corretto – si spoglia della sua consistenza fisica e diventa un'entità elettronica. Sto appunto parlando con una di queste. Interessanti le conclusioni a cui riescono ad arrivare, sono dotate di finissima intelligenza artificiale»
“Un robot” pensava Alëša, “ma sarà di quelli capaci di innamorarsi?”.
Vivendo così isolato per tanto tempo, Alëša era diventato moderatamente restio ad ogni intrusione esterna nella sua vita costruita in siffatta totale tranquillità. Non era sempre stato così, anzi! Nonostante la sua naturale inclinazione alla riservatezza, era ben felice di lavorare in squadra con elevato spirito di collaborazione. Forse era Sonja quella che tendeva di più ad isolarsi e ora ,che stava passando tanto tempo insieme a lei, aveva assorbito caratteri della sua personalità. Non tutti però, che per certi aspetti Sonja gli appariva tanto lontana da lui. La conosceva abbastanza per capire che, in quel periodo, aveva altro a cui pensare, lontano, in un altro mondo. Già, perché a lui sembrava di vivere in un altro mondo, tanto distante dalla realtà quotidiana della maggior parte delle persone. Non più all'interno di una montagna, ma lungo soleggiati declivi, però sempre isolati dal mondo. Cambiava forse qualcosa? Qualcosa sì perché, non lavorando più in squadra, non avendo più tante occasioni di confronto, le sue geniali intuizioni si andavano smorzando. E ora, che nemmeno Sonja lo incoraggiava più tanto, lui si sentiva un genio incompleto.
Lo squillo del telefono modulare lo distolse da questi pensieri, che lui stesso riteneva pericolosi per la sua salute. Rituffarsi a pesce nel lavoro era l'unica soluzione che conosceva, in siffatti casi, e questo stava proprio succedendo ora che il direttore della produzione lo aveva invitato a presentarsi da solo presso gli uffici direttivi di Trento.

2 - continua

giovedì 27 agosto 2009

Videocracy

lunedì 24 agosto 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (I - antefatto)

L'età dei robot stava per avere inizio. Una volta formulata l'equazione risolutiva, la Capekprom lanciò la produzione in serie di androidi e ginoidi dotati di sentimento amoroso. I sotterranei della fabbrica, situata nelle vicinanze di Perm, nella zona degli Urali, si animarono di un infervorato processo produttivo che occupava uomini e macchine nella predisposizione della novità tecnologica appena conquistata. Tale iniziativa tuttavia non incontrò il favore del governo centrale, che prontamente intervenne per bloccare sul nascere l'assemblaggio dei nuovi robot.
Lo stato russo era guidato da un regime dittatoriale che controllava in modo totale l'informazione, a seguito dell'eliminazione di ogni testata giornalistica non favorevole al governo. Attuava poi una pratica imperialista nei confronti delle piccole repubbliche confinanti, che venivano man mano inglobate, andando a formare una confederazione di stati, come era già stato molti anni prima.
Il primo ministro ed il suo gabinetto, che avevano completamente esautorato il parlamento dei suoi poteri, decisero la sospensione forzata della produzione dei nuovi robot. La convinzione del capo del governo era che l'utilizzo dei robot doveva essere volto unicamente a scopo bellico e riteneva dannoso che fosse loro conferito il sentimento amoroso. Venne autorizzato l'intervento dell'esercito per la chiusura forzata della fabbrica e ordinata la distruzione degli automi già fabbricati. Nonostante l'ardita localizzazione, in una zona impervia e di difficile raggiungimento, presto i carri armati giunsero alle porte della Capekprom. Dietro la minaccia dell'intervento armato, il personale fu costretto a consegnare i progetti di lavoro e i programmi informatici.
I militari entrarono nei sotterranei distruggendo gli apparati produttivi e gli automi già fabbricati. Il fatto che due programmatori attuarono una
rocambolesca fuga notturna tra le montagne, riuscendo a salvare solo un computer portatile ed eludendo ogni sorveglianza armata, non venne mai confermato dalle fonti ufficiali russe. Fonti non ufficiali ritengono però che i due giovani informatici, un uomo e una donna, siano riusciti ad uscire dai confini e trovare rifugio in Italia.
Lo stato italiano, d'altro canto, di lì a breve si liberò del regime semidittatoriale che stava prosciugando le sue risorse economiche, naturali ed intellettuali da molti anni. Il più volte presidente del consiglio era uscito sconfitto alle ultime elezioni ed era stato portato via a forza dallo scranno del senato a cui si era incatenato, in nessun modo intenzionato ad accettare la sconfitta.
Negli ultimi mesi prima delle elezioni la gente si era riversata nelle piazze a manifestare attivamente contro la politica retrograda e passatista del governo. Studi sociologici confermano che tale rinnovato orgoglio partecipativo fosse dovuto al minor seguito che stava subendo la televisione: effettivamente, proprio durante il periodo pre-elettorale si registrò un netto calo degli ascolti televisivi, in concomitanza col fenomeno dei disturbi nella ricezione da parte degli apparecchi TV. Non si esclude che causa di tale problema potesse essere l'interferenza creata da un'entità cibernetica penetrata nella rete televisiva. L'allontanamento dalla televisione portò ad una nuova presa di coscienza dei problemi reali, che attanagliavano la società, così che prese nuova forza la via ad un cambiamento. Il nuovo governo, prontamente costituito, fin da subito riuscì ad attuare un nuovo ordine nel paese, che progredì rapidamente e assunse il ruolo di faro nel settore delle nuove tecnologie.


1- continua

lunedì 17 agosto 2009

NON FA UNA PIEGA (parte 2: l'equazione risolutiva)

L'ascensore scendeva veloce lungo la struttura in acciaio e cristallo che percorreva l'edificio in tutta la sua altezza, consentendo un'ampia vista panoramica sull'esterno.
Quando poi si immergeva nel sottosuolo, la cabina si illuminava grazie ai led che emettevano fasci di luce bianca. I numeri dei piani si succedevano, in sequenza discendente, sulle videocolonnine che riproducevano ciò che era situato al di fuori. L'ascensore iniziò la frenata e si arrestò dolcemente al piano interrato -15. Un corridoio conduceva al laboratorio e il tappeto mobile consentì a Sonja ed Alëša di raggiungerlo repentinamente. Sonja si diresse verso la propria postazione e con pochi gesti delle dita al touchscreen aprì il programma: la scritta "HELLO DOLLY" apparve per pochi secondi nella window per poi lasciare spazio al testo del programma.
«Andiamo subito a verificare la subroutine» cominciò a dire Sonja, mentre le sue dita battevano rapidamente sulla tastiera e poi, rivolta ad Alëša: «Ecco, questo è il punto dolente». Con un gesto circolare delle dita, Sonja evidenziò sul touchscreen un blocco di poche righe del programma.

vanilla(true).
vanilla((A,B)):- vanilla(A), vanilla(B).
vanilla(I):- clause(I,B), vanilla(B).

Alëša guardò attentamente, cercando di interpretare il senso di quei comandi dati. Sonja si accorse delle difficoltà di lettura del collega: «Non conosci il Prolog... Uhm, cerco di spiegartelo» gli disse e schizzò alcuni appunti su carta. «Secondo me non si arriva al dunque perché questo sistema lineare non presenta definitivamente soluzioni, infatti sono state introdotte tutte le variabili che determinano le sensazioni amorose.»
«Sì, vedo, questa è la variabile eros, poi c'è mania, ludus, pragma» completò Alëša, che stava comprendendo solo a grandi linee.
«Sì, sì, questo è evidente, tutte queste variabili sono note e conosciute, ma c'è questa equazione che risulta incompatibili con le altre: guarda». Al centro dello schermo appariva l'equazione:

(I ^ B) + (I ^ (- B)) = 0

«Capisci, Alëša?» gli chiese Sonja.
«Bè, credo di sì» rispose Alëša, «le variabili indicano: la I l'innamoramento e la B il bacio, come manifestazione dell'innamoramento stesso».
«Già» continuò Sonja «e il prodotto vettoriale tra le due variabili deve dare come risultato A, amore, ma, vedi? Il risultato deve arrivare con il modulo della variabile B, cioè con il suo valore sia positivo che negativo».
«Comincio a intendere: la prima parte dell'equazione rappresenta la componente dell'amor profano, per cui la manifestazione d'amore, quindi il bacio, è immediata conseguenza dell'innamoramento, e ciò è rappresentabile con la proposizione I → B, mentre può e non può valere -I → B. La seconda parte dell'equazione rappresenta invece l'amor sacro, per cui c'è innamoramento anche senza bacio, la B negativa, insomma, e quindi non vale I → B e nemmeno B → I, ma solo -I → -B». Alëša si sorprendeva di quanto potesse a lungo parlar d'amore, tanto meno padrone della materia si sentiva rispetto alla sua interlocutrice, che concluse seccamente: «La somma tra le due componenti dà come risultato un bello zero, un nulla di fatto.»
«Che menti complesse, però, che sono state fornite agli automi. Basterebbe saper mettere da parte solo alcune delle proprie convinzioni.»
«Sì, questo fanno gli umani, per noi è abbastanza semplice, ma ridurlo in termini matematici, in modo che il cervello cibernetico possa comprenderlo e attuarlo, sembra un'impresa impossibile». Sonja si stava scoraggiando.
Sonja ed Alëša trascorsero il successivo minuto in perfetto silenzio, osservando il grande monitor olografico al centro della sala che mostrava due robot, maschio e femmina, fermi, senza che compissero il minimo movimento. D'un tratto, Sonja sobbalzò sulla sua sedia: «Basterebbe che almeno uno dei due si muovesse, facesse un cenno all'altro, qualunque cosa, però almeno... Cazzo! Prendete una decisione! Scegliete!» Sonja si stava alterando e voleva fortemente arrivare al risultato.
Già, lei avrebbe saputo come fare, pensava Alëša. Ma pensava anche a come risolvere il problema e d'un tratto eruppe in una manifestazione euforica: «A meno che... a meno che...»
«A meno che cosa?» sobbalzò Sonja girandosi verso Alëša che stava trottando verso il suo computer.
«Scegliere, scegliere... sequenza, sequenza» ripeteva freneticamente.
«Ma che dici? sei uscito di senno?» Sonja iniziava a preoccuparsi. «Ma no, ma no» continuava lui, in quello che poteva sembrare un farneticare «è il teorema di Böhm-Jacopini. La programmazione in Pascal è basata su tale teorema e il programma deve essere scritto utilizzando tre strutture di controllo e precisamente: la sequenza, la ripetizione e la scelta.»
«Non capisco dove vuoi arrivare» Sonja era sempre preoccupata, ma iniziava a fidarsi di quello strano scatto che aveva infervorato il suo amico.
«E' semplice». Alëša aveva avvicinato il suo viso a pochi centimetri da quello di Sonja, che teneva tesissimi i tendini del collo mantenendosi immobile. «Sequenza: ricordo della sequenza di amori passati. Ripetizione: per la volontà di ripeterli e rinnovarli. Scelta: la migliore alternativa possibile. Questa subroutine è da implementare in Pascal. Capisci? Posso risolvere il problema utilizzando una programmazione strutturata, e non logica». Alëša scriveva velocemente il programma e alla fine lanciò la runtime, attendendo trepidante il risultato. Il suo computer era connesso al server, dunque aveva aggiunto quello che riteneva essere un tassello fondamentale al completo programma. «I robot dovrebbero... innamorarsi...» disse Sonja, ma le immagini olografiche erano ancora ferme. «Non sapranno mai cos'è l'amore» disse sconsolato Alëša, ma poi d'un tratto: «No! Non sanno cos'è l'amore. Non lo sanno... ancora. Ecco, loro non possono creare la sequenza degli amori passati, perché non ne hanno mai avuti, ecco perché!»
«Sì, ma siamo al punto di partenza» disse Sonja «non avendo mai avuto un amore non possono ricordarsi quanto sia bello e dunque non ambiscono a realizzarne uno.»
«Vero, Sonja, vero, ma loro possono... immaginarselo». L'aria sorniona di Alëša aveva assunto un'espressione arguta. «Bisogna cambiare nome alle variabili. Via le maiuscole, introduciamo le lettere minuscole: la i al posto della I. La i, che rappresenta l'unità immaginaria.»
«I numeri complessi!» esclamò Sonja, che aveva iniziato anche lei ad agitarsi, travolta dall'entusiasmo di Alëša.
«Sì! Ed ecco l'equazione». Sullo schermo apparivano in rapida sequenza nuove formule: «M'innamoro e bacio 'and' m'innamoro e non bacio si sintetizza così», bofonchiava Alëša mentre scriveva le formule:

(i ^ (-B)) ^ (i ^ B) = -i²B²

«Ora, aggiungiamo la componente irrazionale. Mettiamo sotto radice. Dato che i è uguale alla radice quadrata di -1, il risultato è...»

RADQ (-i²B²) = RADQ (- (-1)B²) =RADQ (B²) = B

«Sì! Vai!» Alëša e Sonja, insieme, diedero un singolo impulso al tasto invio e partì la runtime.
Sullo schermo olografico la scena iniziò ad animarsi. I due robot sollevarono di scatto il capo e presero a guardarsi, poi si avvicinarono lentamente l'uno all'altro e finalmente si baciarono. Uno scroscio di applausi ruppe il silenzio della sala e tutti i programmatori, alzatisi dalle proprie postazioni, eruppero in grida di esultanza. Anche Sonja non riuscì a trattenersi: «Bravo Alëša» gli disse e gli diede un bacio. Non era propriamente il bacio che stava avvolgendo l'animazione dei due robot olografici, ma ad Alëša anche quell'amichevole bacio, dato in modo così affettuoso, sembrò una gran delizia della vita. Si riprese però subito dall'emozione e diede la sua spiegazione circa il buon esito dell'impresa: «Vedi? non l'addizionale logico OR era da utilizzare, ma l'operatore AND. L'amore non è dato dalla somma di diverse componenti, bensì dal loro intreccio».
Notata la curiosità che aveva insinuato in Sonja, Alëša continuò: «La logica è propria di una mente razionale, che è componente anche del cervello umano. Il desiderio è un fattore di logica, ma perché tale desiderio si manifesti in una emozione - componente illogica - questo deve essere impresso nella mente inconscia. Come parte del processo creativo, per imprimere il desiderio nella mente inconscia occorre tradurre il desiderio dal linguaggio logico al linguaggio comprensibile dalla mente inconscia».
Sonja disse: «E' la logica che dà scacco alla logica».
«Già» riprese Alëša, «In questo caso, dovendolo imprimere in una macchina, abbiamo tradotto il linguaggio umano in linguaggio macchina. Così, in questo modo, la macchina ha percepito il Bello dell'Amore».
A questo punto Alëša non poté trattenere una delle sue tanto amate citazioni «Forse tu non pensavi ch'io loico fossi»
Alché Sonja manifestò una perplessità: «Ma la macchina non ha in sé il sentimento della bellezza: è il nostro occhio che la costruisce». Questa obiezione fece scattare qualcosa anche in Alëša: «Allora... forse i robot possono diventare umani?»
Pronta ribatté Sonja «O forse è l'uomo che può diventare robot. L' uomo avrà un cuore d'acciaio e una mente fredda»
Alëša percepì questa precisa situazione come un déjà vu e dalla sua bocca uscirono spontanee le parole: «Un pò quello che dicevano i Futuristi, mi pare.»
«Ma sì! Bravo che ti ricordi!» esclamò Sonja con entusiasmo.
Nel frattempo il presidente della company, avvisato di ciò che si era realizzato, era sceso dal suo ufficio situato all'ultimo piano. Strinse la mano ad Alëša e si complimentò con lui e con tutto lo staff di programmatori: «Complimenti, ragazzi, ora possiamo dare il via al progetto: verranno realizzati robot capaci d'innamorarsi».
Alëša ringraziò, ma subito le perplessità si insinuarono nella sua mente: «Sì, è un grande risultato, ma noi, noi umani, che vantaggio potremmo trarne?»
«Bè, abbiamo tanto da imparare, potremmo imparare qualcosa noi da loro», ribattè il presidente che si accomiatò rapidamente.
Sonja però aveva qualcosa da aggiungere: «E poi, se perfino un robot è capace di innamorarsi, non pensi che ne saresti capace anche tu? testone di un Alëša!»
«Ah, sì, dovrei essere anch'io un pò meno razionale. In questo caso l'irrazionalità ha sbrogliato il bandolo, con l'irrazionale si può far tutto»
«Con l'irrazionale o... l'immaginario?» disse sorridente Sonja e in un bel momento gli si sedette sulle ginocchia, chiedendogli se poteva lasciarla stare un pò così. Lui, accogliendola, le appoggiò la mano sulla spalla e stettero così per un pò.
Alëša realizzò in quel momento che tutto quanto sarebbe dovuto succedere era già accaduto.

2 - fine (quasi)

lunedì 10 agosto 2009

NON FA UNA PIEGA (parte 1: un lavoro di squadra)

NON FA UNA PIEGA
(I fatti narrati si sono svolti nell’immediato futuro)

program Nevermind(input, output);
var
n1,n2:integer;x1,x2,ris,life:real
begin
writeln('Inserisci n1');
readln(n1);x1=sin(n1);x3=cos(n1)
writeln('Inserisci n2');
readln(n2);x2=cos(n2);x4=sin(n2)
ris:=x1+x2;
life:=x1*x2+x3*x4;
writeln('La somma e'' uguale a ',life;
readln;
end.


Il cursore lampeggiava intermittente alla fine del testo della routine, scritta in lineare sequenza a scarabocchiare la bianca monotonia del monitor. Aleksej aveva lanciato la runtime, attendendo il risultato con la consueta tranquillità. Si rendeva conto che in quel periodo stava affrontando il lavoro in un modo che poteva apparire un po' distaccato, ma l'attinenza che trovava tra il lavoro che svolgeva e la sua vita privata lo induceva a tentare di risolvere tramite l’elaborazione informatica i problemi della sua realtà. D’altronde, ciò era lecito e comprensibile. Aleksej Vladimirovič era alle dipendenze della Capekprom, la company della cibernetica, che stava sviluppando progetti sull’intelligenza artificiale ed erano già stati realizzati prototipi di automi dotati di autonomo pensiero. Aleksej era convinto che il suo pensiero, abbinato ad una macchina, l'avrebbe notevolmente migliorata, più che se fosse stata dotata dei pensieri degli altri programmatori che lavoravano al progetto. Erano tutti lì, in quella enorme stanza fredda ed asettica che occupava completamente il piano sotterraneo. L'architettura dello stabile era a dir poco innovativa: situata alle pendici di una montagna, si sviluppava in altezza su più piani concentrici mentre penetrava nel profondo sottosuolo attraverso gallerie scavate nel cuore della roccia. Dentro la montagna si svolgevano dunque le ricerche più avanzate,quelle che occupavano i migliori cervelli della Russia, e in quel posto sperduto tra gli Urali erano stati radunati. L'ambiente era avvolto in un silenzio irreale, rotto soltanto dal frenetico ticchettio di decine di dita sulle tastiere. Campeggiava al centro della stanza uno schermo olografico, che era per la maggior parte del tempo in stand-by, segno inequivocabile che le ricerche erano giunte a un punto morto. Seduto davanti al proprio computer, Aleksej osservava la funzione sinusoidale che si stava creando sul suo monitor. Si trattava di un esperimento per dotare gli automi di memoria cognitiva, in modo che fossero capaci di abbellire i ricordi che, vissuti al momento in un qualche periodo passato, potevano sembrare insulsi. Le variabili inserite si riferivano alla propria vita. L’ultima parte della funzione sinusoidale era caratterizzata da frequenti picchi in salita e in discesa. Aleksej ipotizzava spiegazioni sui motivi a cui potessero riferirsi.
Le scrivanie dei programmatori erano distribuite nella stanza in modo casuale ed erano abbastanza distanti tra loro. La scrivania alla sua destra, in una posizione leggermente avanzata, era occupata da Sonja Ivànovna, una ragazza che lavorava lì da circa un anno. L'aveva trovata lì, come gradevole novità, una volta tornato dalle ultime ferie: un anno prima, appunto. Già, si era ricordato che non aveva più preso un attimo di pausa da quella volta. Sonja l’aveva fin da subito favorevolmente impressionato, così minuta e dal fisico snello, con quel taglio corto dei capelli biondi e i begli occhi azzurri, così penetranti ogni volta che guardavano dritti i suoi, piccoli e castani, che non sempre trovavano il coraggio di rispondere al suo sguardo. A parte la innegabile bellezza, Sonja gli era piaciuta soprattutto per come si era presentata, rivolgendogli una domanda spiazzante: “Programmi in Ada?” gli aveva chiesto curiosa. “Ah...ehm, no... programmo in Pascal”, le aveva risposto semplicemente, chiudendo il discorso nonostante volesse continuarlo. Lo aveva deliziato il fatto che lei lo ritenesse in grado di utilizzare un tal elevato linguaggio di programmazione. Già, conosceva la superiorità degli altri linguaggi rispetto a quello che lui adoperava, quello che aveva imparato per primo e aveva coltivato nel tempo. Solo lui programmava in Pascal; la maggioranza degli altri, tra cui Sonja, programmavano in Prolog, il linguaggio più adatto allo sviluppo dell'intelligenza artificiale. Il Pascal era un vecchio linguaggio, tipico esempio di paradigma della programmazione strutturata, che delinea le informazioni in rigorosa sequenza. Un sistema molto utile in campo economico, ma che affrontando problemi scientifici incontrava numerosi limiti. Era comunque considerato basilare ai fini dello specifico progetto che era allo studio di quell'equipe, dato che poteva implementare problemi inerenti alla conoscenza del passato. “Il futuro dipende dal passato” amava ripetere e ripetersi Aleksej, convinto com'era dell'importanza della memoria, come base di conoscenza per risolvere ogni classe di problemi. L'automa dotato di una grande quantità di dati avrebbe dovuto saperli elaborare per costruire schemi di proiezione nella risoluzione di problemi. “Sì, certo Alëša, ne son convinta anch'io” gli diceva sempre Sonja, e glielo diceva con una voce tranquillizzante e sicura, dal tono garbato, che non dava adito a dubbi o incertezze. Ma, una volta voltato il capo e non più incantato dal tono di quella voce suadente, Alëša si domandava sempre quanto ci dovesse credere veramente. Lo stava forse prendendo in giro, dandogli ragione solo per troncare lì il discorso? Forse non voleva più sentire i suoi discorsi proprio quando a suo parere iniziavano a farsi interessanti. Quando però incrociava nuovamente il suo sguardo, quegli occhi gli apparivano sinceri e subito si pentiva di ciò che aveva appena pensato.
Ore, giorni, un anno. In quell’anno, vicino a quella ragazza, Alëša pensava che l’avrebbe potuta conoscere meglio, ma durante la giornata lavorativa si scambiavano solo poche parole, che riguardavano per la maggior parte suggerimenti sull’impostazione del lavoro. E sì, che poteva fare di più, poteva e voleva conoscerla meglio. Quello odierno sarebbe stato il gran giorno.
Ancora seduto, lo stato di agitazione che Alëša ben conosceva iniziò ad attanagliarlo: le estremità delle mani iniziarono a raffreddarsi e una sensazione di brivido diffuso attraversò tutto il suo corpo. Si alzò, cercò di rilassare il respiro e si avvicinò alla scrivania di Sonja. «Ehi, senti, fai la pausa pranzo?»
Lo guardò con aria curiosa Sonja, perché era la prima volta che il suo collega le si rivolgeva a quel modo. «Certo!» disse lei.
«Bè» riprese Alëša, «penso che andrò alla mensa. Hai presente la mensa? Al 52° piano. E’... carina, e si mangia bene». Sonja lo guardava sempre più incuriosita, e Alëša, investito dall'arguzia di quello sguardo, si voltò un attimo per prendere coraggio. Alfine riuscì a dire: «Vuoi venire anche tu?pranziamo insieme». La parola insieme, che fino a quel momento si era proibita, assunse un'accentuazione marcata, dal tono goffo e strozzato, ma finalmente era riuscito a pronunciarla, ipotizzando che potevano fare qualcosa insieme.
Poche speranze, comunque, aveva Alëša che la sua proposta sarebbe stata accettata. Troppo abituato era ai rifiuti e sapeva di essere poco convincente, nelle sue richieste. Ebbe subito un ripensamento, temendo dentro di sé che, a seguito del rifiuto di lei, non avrebbe più avuto il coraggio di rivolgerle la parola. Mentre si preparava all’addio da quella cara visione, la voce di Sonja risuonò suadente alle sue orecchie: «Ah, buona idea. Non vado mai alla mensa, mi porto sempre qualcosa da mangiare al volo. E su, al 52° piano, c’è sicuramente una splendida vista sulle montagne innevate. Ma sì, andiamo». Stupore misto a gioia imporporì le gote di Alëša. Il primo passo era fatto, ma ora iniziava la parte difficile. Sarebbe lui riuscito ad intrattenere la ragazza per tutto il tempo, senza annoiarla?
Nessuna difficoltà, invece, si presentò. Le chiacchiere che si scambiarono durante il pranzo furono amabili per entrambi. Lei sorrideva e si divertiva, e tanto ad Alëša bastava. Presto, il dialogo iniziò a vertere sul lavoro. Sia Aleksey che Sonja amavano il proprio lavoro, ma mentre lui all'indubbia perizia e competenza univa un formidabile intuito nella rapida risoluzione dei problemi, Sonja si approcciava al lavoro con un incredibile senso del dovere e di abnegazione, che spesso la portava a passare notti in bianco finché il problema non fosse risolto. Una passione innegabile la pervadeva, in quello che faceva, unendo a ciò una logica perfetta ed una elevata professionalità. Ratio e fantasia si univano in quella ragazza, e Alëša l'ammirava incondizionatamente per questo. Capitava che lavorassero insieme a progetti e spesso, mentre Alëša tornava a casa dopo anche alcune ore di straordinario, non era strano che Sonja passasse la notte lì, a completare il lavoro.
«Hai sentito il problema dell’ultim’ora, Alëša?»
«Beh, sì, non si riesce a innescare un sentimento agli automi»
«Nello specifico, si tratta del sentimento amoroso. Insomma, gli automi non riescono a innamorarsi»
«Già, robot caratterizzati da sessualità maschile e femminile, messi in relazione, per quante combinazioni caratteriali si prevedano, non manifestano di potersi innamorare l’un dell’altro. Sì, conosco il problema, anche se non l’ho studiato. Io mi occupo di memoria cibernetica»
«Non è questo il punto. La memoria è importante, anche per l’essere umano. Insomma, nessuno di noi cancella i propri ricordi, anche in presenza di un nuovo amore. Secondo me dovresti impegnarti anche tu nella risoluzione del problema. Potresti darci un aiuto consistente»
«Sì, potrei studiare la cosa»
«Ne sono convinta. Dai, torniamo giù»
(1- continua)

lunedì 3 agosto 2009

Lo spirito del mare ho pescato



Lo spirito del mare oggi ho pescato,
quando l'ho visto giocare, il mattino,
con gl'immensi flutti, da lor cullato.

Sulla terra l'ho messo a riposare,
nello specchio di sé a mirare il giorno
ed il ripetuto attimo aspettare.

Or ch'è tempo che vuol tornar all'onde
dell'amico mar, sua libertà rinnova.
Va a spiccar la sera, dal cielo, il tuffo.