lunedì 14 settembre 2009

DIFFERENTE E' LA REALTA' (IV - Robot)

Alëša aveva già visto numerosi ginoidi, nuovi di fabbricazione, ma come quello mai, così perfettamente somigliante all'essere umano. Non si stancava di studiare la struttura fisica di quel ginoide, cercando qualche particolare che ne tradisse la fabbricazione meccanica, senza trovarne.
«Stiamo andando al Sacrario di Trento» iniziò a dire Daniela mentre guidava.
«Come mai al Sacrario?» chiese Alëša, finalmente distogliendo lo sguardo da lei e volgendosi alla strada, che scorreva veloce sotto le ruote dell'auto.
«Al Sacrario è conservato un vecchio robot, e pensiamo che studiando le sue caratteristiche potremmo ricavarne qualcosa di utile»
«Vecchio... quanto? Da quanto tempo si costruiscono i robot?» chiese di nuovo Alëša.
«Da più tempo di quanto tu possa immaginare» replicò Daniela rivolgendosi a lui.
Arrivarono al cimitero monumentale. Il Sacrario si trovava al suo interno, costruito in stile neoclassico e circondato da colonne di marmo. Per accedervi, Daniela e Alëša scesero la scalinata di accesso e poi, attraverso una scala elicoidale, giunsero all'ingresso della cripta. Solitamente la cripta rimaneva chiusa alle visite, ma il permesso speciale di cui disponevano permise loro di entrare.
«Avrai notato che qui non esistono ascensori. In alcune zone, qua da noi, c'è ancora il culto del primitivismo.» Ogni volta che gli rivolgeva la parola quel ginoide mostrava la sua natura di macchina: ogni ragionamento era precisissimo e dotato di una logica incontestabile. Il linguaggio freddo e calcolato non presentava, a suo vedere, alcuna curvatura di umanità. Così differente da Sonja, lucida anche lei, ma dotata di ben altra vivacità mentale, che la portava a spingere il suo pensiero verso temi mai esplorati e possibilità ignote. Ginoide perfetto, quello, ma non era Sonja.
La distrazione di Alëša dovette venir meno, una volta entrati nella cripta. Di fronte a lui, con gli occhi accesi e luminosi, le braccia alzate a metà, c'era una figura umana dallo scintillio metallico giallognolo.
«E' un robot» disse intimidito Alëša, «ma è metallico.»
«Peggio», disse Daniela, «non è vivo»
«Ma quando è stato costruito?» chiese Alëša avvicinandosi a quell'essere inanimato, timidamente toccandone le rigide estremità.
«Durante gli anni che vanno dal 1910 al 1915. In quel periodo in Italia si respirava un grande fervore intellettuale. Il Futurismo investiva tutti i campi dell'arte, coinvolgendo anche riferimenti sociali e politici. Esaltava la fiducia nel progresso, e il futuro doveva essere lì e subito. La costruzione di un automa come questo ne è un esempio»
«Non sapevo che ne fosse stato realizzato uno. Se ce ne fossero stati, al centro ricerche della compagnia dove lavoravo, avrei dovuto saperlo.»
«Solo in Italia ne sono stati realizzati. Qui, la ricerca del nuovo portò al modernismo tecnologico, mentre da voi in Russia fu l'elemento sociale a prevalere. Che si sappia, comunque, questo è l'unico esemplare esistente, di questo tipo, anche se si dice che da qualche parte ne esista un altro, di un tipo più evoluto.»
«Ma che aiuto può darci un robot morto? Insomma, disattivato.»
«I primi robot realizzati erano completi, comprendevano tutti i sentimenti umani. Riesci a seguirmi?»
«Sì. Vuoi dire che ha in sé anche il sentimento d'amore?»
«I robot furono costruiti con la compresenza di sentimenti buoni e cattivi, quindi amore e odio, schiettezza e falsità, eccetera. Poi però, nel più banale travisamento della tematica futurista, la commissione che doveva approvarne la produzione ordinò di cancellare dalla mente robotica il sentimento d'amore, ritenendo che i robot dovessero essere prodotti per scopi esclusivamente bellici, in previsione della guerra che stava per scoppiare. Tentarono invece di programmare i robot ai fini della riproduzione futuristica della specie, con riproduzione sessuata, sapendo che la guerra avrebbe abbattuto la parte migliore della generazione dell'epoca.»
«E ci riuscirono?» chiese Alëša, intimorito da quella rivelazione.
«No, i robot non possono riprodursi.»
«Esiste però la possibilità che una macchina si autoriproduca?» la incalzava, Alëša, con le domande, tentando di coglierla in fallo.
«John Von Neumann, l'ideatore della famosa architettura per calcolatori elettronici, ipotizzò in un suo studio una macchina in grado di autoriprodursi, ma non è mai stato possibile realizzarla.»
«Come mai?»
«Per autoriprodursi, la macchina dovrebbe compiere un lavoro e quindi consumare energia. Per produrre una macchina simile a se stessa, la macchina dovrebbe utilizzare tutta la sua energia e dato che l'energia iniziale è limitata, questa scemerebbe con l'incremento del lavoro per non arrivare mai al compimento definitivo. Non esiste una macchina con energia inesauribile.»
Come ebbe finito, Daniela si avvicinò al robot, gli toccò le braccia, il dorso e la testa, cercando eventuali canali di collegamento, ma non ne trovò.
«Possiamo andare, non abbiamo più niente da fare qui» proferì seccamente il ginoide, invitando il suo collega a seguirla mentre prendeva la strada dell'uscita.
Alëša continuava a pensare, accanto a quel ginoide diventato ora improvvisamente silenzioso. Era impossibile accedere ai dati di quel robot, però forse ce n'era almeno un altro, dotato ancora di sentimento amoroso originale.
Questa spiegazione fornì, di ritorno dalla missione fallita, ma il capo gli disse che la strategia sarebbe cambiata. Ora doveva solo riposarsi da quella lunga giornata.
Solo, nella sua camera, Alëša si preparava a coricarsi. Pensava a Daniela, così bella, ma che probabilmente non sarebbe mai stata capace di amare. Si torturava cercando di capire cosa potesse servire, ad una mente ed un corpo automatici, per amare. Sarebbe bastato il programma corretto, che però ancora non era riuscito a trovare? Sarebbe bastata solo un'altra geniale equazione per sciogliere il bandolo e risolvere il problema dell'amore? Sapeva di non poterselo spiegare, che nemmeno per l'uomo è facile spiegarsi questo mistero. La mente di un ginoide del tipo di Daniela era programmata, ma era programmata anche per fare esperienza, e bastava che quella mente fosse stata lasciata libera di volare, priva dei rigidi vincoli della programmazione: allora sì che avrebbe potuto fare esperienza, perfino esperienza d'amore. I pensieri poi vagavano, e andarono a toccare la sua persona, lui stesso, così simile al robot nell'essere privo di esperienza, anche lui impossibilitato a scegliere, come a far parte di quel grande ingranaggio che con l'uso di una tremenda bugia facevano passare per realtà. Cercava di ricordare quando mai avesse potuto scegliere liberamente, perché ogni volta si sentiva stretto da vincoli, come se un programma dai contorni rigidi gli impedisse qualunque libera scelta. Forse l'aveva creato lui, quel programma, per sé, ma allora l'aveva creato per una persona che non conosceva perché, se stesso, non si era mai conosciuto veramente. E soprattutto riteneva di non aver mai conosciuto il vero amore, quindi come poteva scrivere un programma di cui non conosceva la variabile fondamentale? Pur continuando a tormentarsi con questi pensieri, dopo poco si addormentò.

4 - continua

8 commenti:

Lenabuona ha detto...

Attento, ho l'impressione che tu stia deviando un po' troppo dal tracciato della verisimiglianza. Nei tuoi riferimenti storici sul futurismo alludi ad una sorta di programmazione degli automi, quando, per la tecnologia a disposizione l'unica cosa possibilie a quei tempi era ancora un'imitazione cinetica e non logica dell'essere umano. I calcolatori non erano ancora stati inventati... Il sapore retrò del tuo racconto, a mio parere, dovrebbe essere giustificato dalla plausibilità della realtà chiamata in causa. E' un consiglio, più che una critica: se ti mantenessi il più possibile nel seminato del verosimile ti daresti miglior agio per gestire la carica metaforica, e quindi critica, del racconto. Altrimenti potrebbe diventare eccessivamente pretestuoso e aleatorio. Ma mi congratulo per la tersa eleganza che sai dare alle atmosfere.

EvaFutura

Lenabuona ha detto...

... Questo link potrebbe esserti altresì utile:

http://blog.modernmechanix.com/2006/12/04/horse-of-steel-runs-across-fields/

Fabio ha detto...

Hai ragione, ho complicato un pò le cose creando una certa discrasia temporale. In effetti la macchina di Von Neumann (che prevede l'ALU, o unità logica, e la memoria, che lavorano in parallelo) risale agli anni '50, mentre negli anni '10 si sarebbe potuto al massimo costruire sì un automa meccanico in grado di muoversi autonomamente, ma certo non in grado di compiere operazioni logiche. Conto di trovare una soluzione nella terza parte di questa saga che, ancora solo nei progetti, dovrò dotare di quel carattere steampunk a cui mi sto per ora solo avvicinando. Lì si vedrà come il ginoide che qui fornisce spiegazioni scientifiche abbia commesso un errore usando il termine programmazione e come una mente meccanica costruita in un periodo improbabile possa essere stata completata in altro modo.
Ti volevo invece chiedere se è corretto quel passaggio che pone a confronto il futurismo russo con quello italiano: la questione mi ha sempre interessato e l'ho scritta qui appositamente.
Grazie.

Lenabuona ha detto...

"Solo in Italia ne sono stati realizzati. Qui, la ricerca del nuovo portò al modernismo tecnologico, mentre da voi in Russia fu l'elemento sociale a prevalere"

Penso che tu ti riferisca a questo passaggio. Bisogna vedere che cosa intendi per "modernismo tecnologico" e distinguere a livello politico sociale le situazioni di Russia e Italia. Sono in gioco due tipi di nazionalismo: in Italia, sostiene Carlo Bo (1970), il futurismo si disseccò perché non aveva trovato terreno fecondo su cui crescere e fruttificare. Ad un certo punto, infatti il futurismo si trovò come preso tra due fuochi: trascurato dalla cultura ufficiale del regime e attraersato dalla cultura italiana che tendeva sempre più a dissociarsi dal fascismo. Pertanto le veniva congeniale negare i valori artistici del futurismo che a volte erano venuti ad identificarsi col fascismo. Bisogna ricordare l'analisi del fascismo che Palmiro Togliatti svolse nel 1935 a Mosca:
"L'ideologia fascista è un'idelogia eclettica. Elemento di tutti i movimenti fascisti è, intanto, ovunque, l'ideologia nazionalista esasperata [...] Accanto a questo elemento vi sono numerosi frammenti che derivano da altrove. Per esempio dalla socialdemocrazia.[...] L'ideologia fascista contiene una serie di elementi eterogenei. Dobbiamo tenere presente questo perché questa carattewristica ci permette di capire a che cosa questa ideologia serve. [...] Io vi metto in guardia contro la tendenza a considerare l'ideologia fascista come qualcosa di saldamente costituito, finito, omogeneo. Nulla più dell'ideologia fascista somiglia a un camaleonte. [...]"
Indro Montanelli una volta ha raccontato come Mussolini solesse ricevere a palazzo Venezia gruppi di giovani universitari, rappresentanti fogli diversi, gruppi diversi, posizioni ideologiche diverse, assicurandone ciascuno, separatamente, che i veri fascisti erano loro. Per questo Marinetti divenne accademico d'Italia a fianco di Farinacc, rappresentante della pittura naturalista, agli antipodi dell'aeropittura, e perché nell'estetica retorica del fascismo finì anche Piacentini, il neoclassicista ultraconservatore che recuperava l'antichità romana. Osserva Mario Verdone che la parabola futurista cominciò il suo declino all'indomani della prima guerra mondiale, Libero Altomare descrive come la guerra fu fatale al futurismo in quanto dissolse il blocco eterogeneo dell'unità futurista, composto di personalità aventi ideologie antagonistiche: nazionalismo esasperato o anarchico, liberalismo o socialismo, misticismo o semplice ateismo. In effetti, nel giro di pochi anni, quasi tutti i futuristi della prima pattuglia o escono clamorosamente dal movimento, o se ne discostano. Negli anni venti lo staff futurista è completamente mutato. Nello stesso 1920 i futuristi, Marinetti in testa, escono dai fasci per riavvicinarsi solo dopo il 1926. Questo si risolverà in un assorbimento del futurismo da parte del fascismo che lo neutralizzerà e lo metterà ai margini, rendendo di fatto innocua la sua originale carica polemica ed eversiva.
Alta situazione in Russia: gli artisti russi, che chiamano Marinetti "papascia", ossia "nonnino", si proclamano soli e autentici futuristi, chiamandosi alla russa BUDETLIANIE. Il nazionalismo russo non solo ha caratteri modernisti, ma anche asiani. A rigor di logica ciò che in Italia non riuscì ad attecchire del futurismo, si rivelò perfetto in Russia, col cubofuturismo e il seguente costruttivismo, la costituzione di laboratori d'avanguardia teatrale che prende le mosse dalle idee di Marinetti (il teatro di varietà), in Russia si costituisce una formula omogenea e compatta che si fa mezzo d'espressione ideale della neonata Unione Sovietica. "il comunismo- disse Lenin- è i soviet più l'elettricità".

Fabio ha detto...

Grazie, sei gentilissima a rispondermi in modo così accurato.
Spero che i riferimenti che faccio io possiedano un carattere abbastanza sfumato, tale da destare curiosità, ma non così definitivo per chi cercasse un approfondimento. Non vorrei commettere sfondoni iperbolici, ma il tuo approfondimento mi pare esauriente.
Per modernismo tecnologico intendevo la ricerca del progresso in funzione della velocità, come era ad esempio l'esaltazione dell'automobile o di qualunque oggetto che conferisse dinamismo al movimento (il che rende plausibile la realizzazione di un oggetto meccanico innovativo). Ho poi inteso che la stessa ricerca del nuovo potesse avvenire in Russia nel senso di rinnovamento della società, come è in effetti avvenuto in maniera più profonda rispetto all'esperienza italiana, con una vera e propria rivoluzione (quindi, meno velocità ma più sostanza). Credo di aver trovato conferma perciò, dicendomi soddisfatto, ti rivolgo ancora un sentito grazie. Attendo comunque prossimi sviluppi, perché è un vero piacere discutere in questo modo e con tale cura. Ciao.

Lenabuona ha detto...

Ma prego, è l'unico modo che conosco per combattere il nuovo fascismo, questo: dettaglio, rigore, documento. Chi ha strumenti, li usi i suoi strumenti...

Lenabuona ha detto...

Riflettendoci: Il modernismo italiano, posto così somiglierebbe più a un progresso di facciata, di routine d'immagine, di status-symbol, al contrario di quello russo che ha carattere ben più sostanziale, di sistema... mmm...

Fabio ha detto...

Felice di fornirti l'occasione di documentare, utilizzando questa piattaforma.
Al fine di non creare errate interpretazioni, voglio precisare che la questione è posta nel racconto in forma giocoforza sintetica e dunque ben vengano gli approfondimenti. Ho interpretato che il concetto di velocità, incarnato dall'esaltazione del mezzo meccanico e dalla ricerca del rapido progresso nelle innovazioni fosse una peculiarità del futurismo italiano. Quindi una caratteristica aggiuntiva, oltre a tutte le altre tematiche, non certo esclusiva. Per completezza cito la fonte:

http://www.italiasociale.org/cultura07/cultura010709-1.html