mercoledì 23 marzo 2011

Incendies

4 commenti:

Fabio ha detto...

In matematica si dice identità un'uguaglianza tra due espressioni in cui intervengono due o più variabili, la quale è vera per tutti i valori che si possono attribuire alle variabili stesse.
Così nel film franco-canadese "Incendies" (trad. in Italia come "La donna che canta") è per i gemelli Jeanne e Simon Marwan, in viaggio, secondo le disposizioni testamentarie della madre Nawal, alla ricerca di due persone credute morte - un loro fratello e il loro padre - ma in realtà alla ricerca della loro stessa identità, con la madre che rappresenta l'incognita di un mistero che man mano si infittisce. La scena d'apertura è memorabile, con una finestra aperta su un paesaggio di pietre e di ulivi e un bambino, tosato a forza, che guarda in macchina. Sotto, le note di "You And Who's Army?" dei Radiohead. Poi la storia si dipana secondo i canoni peculiari di una tragedia greca immersa nello sconcertante panorama di un Libano diviso dalla guerra di religione. La narrazione per capitoli segue l'ordine non cronologico delle scene, e trova ragion d'essere nella summa finale, in quella verità prodotta da costanti matematiche a cui non sfuggono le reali esistenze dei due gemelli Marwan.
La terribile verità è che nella sfera del reale 1 + 1 può fare solo 2. Ma "1 + 1 può fare 1?" chiede Simon alla sorella Jeanne, brillante dottoranda in matematica che, mentre a lezione spiega agli alunni la teoria dei grafi, riceve dal docente la lezione di seguire solo il suo intuito. Ciò che rende ancora più crudele l'ingovernabilità del caos. Quanto alla possibilità che 1 + 1 faccia 1, in matematica non si ha alcun problema, se si interpreta legittimamente tale proposizione come una disgiunzione inclusiva, che fornisce la risposta che solo in un caso è falsa. Quasi un'ossessione la matematica, per il regista Denis Villeneuve, ma la sua opera non rimane una costruzione fredda, e le scene si arricchiscono di un'intensità che dona emozioni e commozione, e non solo per i pensieri che corrono strazianti ai reali accadimenti in quei luoghi, non troppo tempo fa. Il film non è solo un'opera di denuncia nei confronti della guerra, ma anche una storia d'amore, e l'amore più grande non può che essere quello di una madre verso i propri figli. Come in molte tragedie, infatti, alla fine rimane sempre uno spiraglio di luce per l'uomo. E' un viaggio alla riscoperta delle proprie radici, il miglior viatico per la conoscenza di sé e l'accettazione dell'altro in cui ci si riconosce.

Visto martedì al Solaris: voto ****

Chiara ha detto...

leggo e penso...

Chiara ha detto...

Qualche annetto fa, in un testo universitario, incappai in questa frase: "L'amore è quell'operazione matematica paradossale per cui 1+1=3". La paternità è forse di Luigi Cancrini, ma non ci giurerei, comunque una persona altrettanto patita di matematica come Villeneuve e di pedagogia!
Un'affermazione, e non più una domanda che sintetizza il significato della relazione educativa nel lavoro d'aiuto alla persona: due unità ben distinte che in modo creativo generano qualcosa di altro da loro , impossibile da determinare con precisione a priori.
Una frase che può sembrare banale ma come spesso accade l'apparente banalità nasconde la naturalezza ed i bisogni della vita stessa.
Per associazione rimembro un'altra citazione, ma con una certa vergogna ammetto che anche questa nella mia testa è figlia di N.N., confido nel contenuto:"Ogni atto educativo è un atto d'amore".
Credo che sia vero anche il contrario e quando certi atti insegnano, educare ed amare addizionati possono rendere più umano tutto e tutti, non solo e strettamente in ambito lavorativo...
Dovrò proprio vederlo questo film!
Grazie per lo spunto e lo spazio di riflessione.
Chiara

Fabio ha detto...

La riflessione proposta è davvero interessante.
Non c'è numero più affascinante del 3 e nota che, nelle operazioni matematiche che abbiamo proposto, vengono utilizzati 3 operatori che riconducono allo stesso 3. E' questo un equivoco che genera ulteriori differenze? oppure solamente un altro modo per ricondurle all'unità?
Le differenze arricchiscono e, in una relazione educativa, la palese distinzione tra educatore ed educando si concilia nel percorso di un unico cammino di verità. Da una parte, saper accettare la differenza ed aprirsi alla conoscenza necessita di una considerevole dose di intelligenza. Diversa è la posizione dell'educatore, che vedrà realizzato il frutto del suo lavoro solo se si applicherà con dedizione, donando incondizionatamente la conoscenza all'educando, vero e proprio atto d'amore. L'amore, dunque, diventa premessa di ogni atto educativo. La magia del numero 3 ritorna, offrendo anche questa volta 3 spunti che provo qui ad ipotizzare, per semplificare le fasi dell'apprendimento, così come mi appare che tanto somiglino a quelle di ogni cammino relazionale.
La premessa è una forte intenzionalità, sorgente che sospinge ad un cammino di scoperta.
Nell'attimo seguente sorgono le differenze e, nel saperle riconoscere, appare evidente la significatività dell'altro. Il riconoscimento dell'altro implica la comprensione delle altrui esigenze ed in questo cammino di relazione sarà importante la comunicazione, che dovrà emozionare, motivare, e indurre così al piacere della scoperta. Sarà qui importante livellare la comunicazione, per evitare incomprensioni, e rispettare i tempi dell'apprendimento.
La terza ed ultima fase avviene in un qualunque momento di questo percorso di apprendimento, quando il riconoscimento dell'autentico senso dell'Altro genera una sintonia di vedute che riconduce all'unità.
Ciò che supera la relazione e fa accadere l'incontro.

Ogni relazione sociale, al pari di una derivata, risale alla presentazione dell’Altro al Medesimo, senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione del volto (E. Lévinas, "Totalità e infinito: saggio sull'esteriorità", 1961)