domenica 20 marzo 2011

Il canto della Dea

1 commento:

Fabio ha detto...

Le cosiddette "veneri" del paleolitico sono statuette d'epoca preistorica, rinvenute principalmente in siti archeologici dell'Europa dell'Est, che raffigurano donne dalle generose rotondità e dalle caratteristiche sessuali molto pronunciate. I ritrovamenti e i successivi studi fanno presumere che tutte queste statuette raffigurerebbero un'unica Dea, Grande Madre simbolo di nascita, morte e rinnovamento. Famosi sono gli studi di Marija Gimbutas, secondo la cui teoria tra il 7.000 e il 4.000 A.C. in Europa fiorì una società definibile come "matristica", basata sulla parità, in cui le donne ricoprivano ruoli dominanti, sia a capo di villaggi che come sacerdotesse. I villaggi non avevano fortificazioni e non è stato trovato alcun segnale di guerra, mentre nei luoghi di culto si veneravano figure femminili. Emerge la raffigurazione di un mondo in cui "la convivenza era centrata sulla estetica e l’armonia con il mondo animale e vegetale" (1)
Sempre della Gimbutas è la cosiddetta "ipotesi Kurgan" per cui un popolo indoeuropeo impose con la forza un nuovo modello di civiltà, basato sulla cultura patriarcale. L'utilizzo del cavallo come strumento di guerra fu peculiare per questa nuova civiltà, che impostò le prime diseguaglianze sociali, rese evidenti dalle diverse modalità di sepoltura: mentre nella società pre-patriarcale non esistevano differenze tra le tombe, da questo momento in poi ci saranno tombe più ricche per i defunti eccellenti. Nella cultura patriarcale l'esperienza di appartenenza a un ambito superiore si vive anche in funzione spirituale, "si vive verso il cosmico e si aliena all'umano [...] si valorizza la guerra, la lotta e la competizione e poi si ricerca l’amore come qualcosa di speciale nell’ambito cosmico; nella cultura matricentrica pre-patriarcale la biologia dell’amore è costituita dal quotidiano e naturalmente parte del vivere normale che eleva alla dignità e al rispetto a se stesso e all’altro"(1)
Ora, non sarà attuabile tornare alle usanze dell'epoca neolitica: si tratta di fatti storici, accaduti e non più ripetibili. E' importante allora mettere in gioco il ruolo dell'osservatore. Secondo la concezione di Maturana e Varela, questo è "un essere umano (definibile anche come sistema vivente)che prende in considerazione simultaneamente l'entità che osserva e l'universo nel quale essa si trova capace di interagire indipendentemente con l'entità osservata e con le sue relazioni"(2). La distinzione è dunque tipica dell'osservatore che, distinguendo, pone la condizione cognitiva basica necessaria alla generazione di cultura, e la storia umana è tutto un succedersi di culture. Un nuovo cambiamento sarebbe dunque possibile, se riuscissimo a percepire gli accadimenti non come separati tra loro, ma considerare un loro legame, una rete di conversazioni che sorgesse dalla comunità di osservatori umani, un intreccio di coordinazioni comportamentali (per dirla alla Maturana), ed emozionare. Il ritorno auspicato non è dunque all'epoca neolitica, ma alla dinamica emotiva che generò le condizioni affinché sorgesse l'umano. Ciò potrebbe condurre ad una nuova concezione di rispetto di sé e dell'altro.

i brani in corsivo sono tratti da:
(1) prefazione di Humberto Maturana al libro “Il Calice e la Spada” di Riane Eisler, Nuova Pratiche Editrice, 1996
(2) H.Maturana e F.Varela, "Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente", Marsilio 1985