domenica 1 maggio 2011

Poiesis



τέχνη δ' ἀνάγκης ἀσθενεστέρα μακρῷ (La tecnica è di gran lunga meno potente della necessità)

2 commenti:

Fabio ha detto...

Il mito di Prometeo è antichissimo. Figlio di Giapeto e di Climene, era un titano che aveva ricevuto dalla madre il dono di conoscere le cose in anticipo (pro-meteis) e dunque parteggiò per Zeus durante il conflitto tra questi e il padre Crono, che era invece supportato dagli altri titani. Prevedeva infatti che il tempo in cui si poteva vincere con la violenza era finito e che il futuro apparteneva a chi si fosse servito della conoscenza.
Una volta conquistato il potere però, Zeus si disinteressò degli uomini e ciò è spiegato nel "Protagora", dialogo di Platone dedicato al tema dell'insegnabilità della virtù. Prometeo aveva un fratello di nome Epimeteo e proprio a lui, il cui nome significa "colui che riflette in ritardo" Zeus diede l'incarico di distribuire a tutti gli esseri viventi le facoltà naturali che permettono la sopravvivenza. Tenendo fede al suo nome, Epimeteo si rese conto in ritardo che aveva già esaurito tutte le doti naturali - denti, artigli, velocità nella corsa, e così via - quando avrebbe dovuto darne ancora agli uomini, che erano lasciati così indifesi. Prometeo decise allora di intervenire in soccorso degli uomini, donando loro il fuoco e il sapere tecnico, che rubò rispettivamente ad Efesto e ad Atena, cosicché gli uomini svilupparono la perizia tecnica necessaria per la vita e, in seguito ad essa, linguaggio, cultura e religione. "Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura." (Platone, Protagora)
Ma ancora gli uomini vivevano isolati, perché privi dell'arte politica e dunque della capacità di mediare e di coordinare le esigenze individuali. Deve così intervenire Zeus in persona, per dare a tutti gli uomini "aidos" e "dike" cioè pudore e giustizia, da assegnare in parti uguali perché "non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti." (Platone, Protagora)

Fabio ha detto...

Grazie a Prometeo gli uomini si erano evoluti "da indifesi e muti in assennati e padroni delle proprie menti", ma ora troppo simili agli dei apparivano a Zeus "come accade ad ogni dio che non tollera l'altro da sé, la differenza"(1).
Nella prima parte del "Prometeo incatenato", Eschilo fa affermare chiaramente a Kratos (Potere, servo di Zeus) che l'esistenza degli dei suppone l'assenza di libertà per gli uomini, in quanto la libertà è strettamente connessa al potere e solo chi ne dispone al massimo livello è davvero libero, quindi "nessuno è libero all'infuori di Zeus". Il dono di Prometeo liberava invece gli uomini dalla dipendenza economica e insieme da quella religiosa.
Ma un altro dono prezioso, secondo Prometeo, è stato fatto ai mortali, perché prima gli uomini "come le immagini nei sogni vivevano confusamente una vita lunga, inconsapevole [...] abitavano sottoterra come brulicanti formiche" e "avevano fissa davanti agli occhi la morte"; ora, dice Prometeo, infondendo la coscienza, ha "fatto cessare quello sguardo e fatto abitare dentro di loro le cieche speranze". L'idea nuova è quella di una vita non più scandita temporalmente dal ciclo biologico e naturale ma dalla resistenza della tecnica agli effetti del tempo, che porta ad un prolungamento progressivo dell'esistenza umana, fino al limite di voler superare il destino mortale. E' allora proprio cieca questa speranza di affrancarsi dalla morte? Sull'ambivalenza di questa frase c'è da discutere: lo stesso termine dono (doron) ha la stessa radice di dolon (inganno), così
come la parola lavoro (ponos, che vuol dire lavoro, ma anche fatica), e così il dono della techne (e del lavoro necessario a svilupparla) consiste anche in un "togliere la possibilità di una salvezza non caduca" (2). Fondamentalmente, comunque, il processo è stato avviato, con "cieca speranza" e " fuoco", ora
evidentemente connessi e "nella loro connessione costituiscono l'insieme delle tecniche che consentono all'uomo di poter disporre della Natura e quindi di portarsi all'altezza di Zeus, che è l'unico libero" (3). Una prospettiva che non può fare a meno di inquietare profondamente Zeus, che per tale affronto infligge una pena terribile a chi ha innescato un simile pericolo.
Prometeo viene dunque incatenato ad una rupe da Efesto, in una zona remota della Scizia, nella regione del Caucaso. Qui il titano urla la sua sventura agli altri personaggi della tragedia, ma nel contempo la accetta, per come riconosce invincibile la forza di Ananke, il destino o "necessità", intesa come necessità ontologica, cioè il fatto che tutto ciò che è ed accade "debba esser così e non altrimenti" (Parmenide). Prometeo non dispera: possessore della stessa speranza che ha infuso agli uomini, al coro che gli ricorda "il cuore inesorabile e implacabile di Zeus" predice che il capo degli dei verrà da lui "a stringere un accordo e un'amicizia". "Dipende infatti dall'uomo il futuro di dio. Zeus ha dalla sua parte la forza della violenza (kratos), ma non ha potere sul futuro"(3) e perciò la sua violenza si infrange contro il rifiuto di Prometeo di rivelargli il nome della donna che partorirà un figlio che supererà il padre in forza. "Questa opposizione prepara la risoluzione del dramma divino. Da un lato la forza di Dio è limitata dalla conoscenza, dall'altro la conoscenza è limitata dalla forza. Solo il riconoscimento reciproco dei rispettivi poteri può condurre a un accordo. Questo accordo i Greci l'hanno chiamato necessità. La necessità del reciproco riconoscimento." (3)

Brani tratti da:
(1) U.Galimberti, "Il gioco delle opinioni"
(2) U.Curi, "Endiadi: figure della duplicità"
(3) U.Galimberti, "Psiche e techne: l'uomo nell'età della tecnica"
ed. Feltrinelli