giovedì 20 ottobre 2011

L'oro del Reno

2 commenti:

Fabio ha detto...

La scena è calata in un'ambientazione di Natura primitiva, non contaminata dall'uomo. Le figlie del Reno, custodi dell'oro, nuotano tra le onde, ma il nano Alberich, uscito da uno strato di nebbia sotto l'acqua dove le tre sorelle stanno nuotando, si ferma a guardarle e subito le insidia, manifestando il suo amore per loro. Dapprima adulato, viene poi deriso e allora si infuria e cerca di afferrarle. Nel frattempo, con la luce del Sole, l'oro del Reno si mostra e, mentre le tre ondine si rallegrano nell'oro come qualcosa di bello e prezioso in sé, il nano lo vede come mezzo di guadagno, ricchezza e potere: infatti viene a sapere dalle tre donne che chiunque sarà capace di forgiare, con l'oro contenuto nel fiume, un anello, dominerà il mondo.
La prima delle tre sorelle, Woglinde, canta Entsagungsmotiv, della rinuncia all'amore come prezzo per ottenere la potenza dell'anello. Alberich lancia allora una prima maledizione contro l'amore, si impadronisce dell'oro e scompare.
Secondo Wagner "l'assenza di amore sessuale è la radice di ogni comportamento antisociale; senza di esso le persone si volgono al materialismo o alla politica/potere. Alberico presto trasforma il suo insoddisfatto desiderio per le Figlie del Reno in avidità di potere." (1)
Nelle scene successive assurge a protagonista il dio Wotan: questi farà prigioniero Alberich - che nel frattempo è riuscito a
forgiare l'anello, grazie al lavoro nella fucina dei Nibelunghi - costringendolo a consegnargli il suo tesoro. Una volta liberato, Alberich lancia una seconda maledizione, che colpirà chiunque sia possessore dell'anello, conducendolo alla rovina. Così sarà (giungendo d'un balzo fino alla conclusione della tetralogia dell'Anello) anche per gli dei con il loro crepuscolo, il Ragnarök.
Si può leggere la figura di Alberich come quella di un capitalista ante-litteram, un borghese avido che cerca di arraffare ciò che può: il corpo delle ondine prima e, poi, l'oro del Reno.
Anche Wotan, il padre degli dei della mitologia norrena, in una lettura simbolica dell'opera di Wagner può vedersi come un grande capitalista o, meglio, un signore feudale che sta perdendo il suo potere e non vuole rinunciarvi.
Esemplare, per spiegare questa interpretazione, il modo in cui Alberich rende schiavi i Nibelunghi per farli lavorare alla
fucina dedicata alla forgiatura dell'anello. E ancora l'elmo magico di Alberich, che gli permette ubiquità, metamorfismo e
invisibilità, è un altro indice da leggere come metafora della tecnologia che, se posta al servizio del potere, permette un
controllo capillare sulle masse. Un'altra interessante qualificazione di Alberich come capitalista è quella attuata col
comportamento che lo vede rinunciare alla gioia d'amore, senza però precludersi le prelibatezze dei piaceri carnali. Ciò è riconosciuto anche da Wotan nel secondo atto de "La Valchiria":
Ora io comprendo
L’ascoso senso
del vaticinio selvaggio di Wala:
«Quando l’oscuro nemico dell’amore
creerà in collera un figlio,
la fine dei beati
non più tarderà!»…
Del nibelungo or ora
ho appreso novella,
che il nano una donna ha forzato,
il cui favore l’oro a lui costrinse
nutre una donna,
la forza dell’invidia
le fa doglia nel grembo:
riuscì il miracolo
al senza amore.

(Die Walküre, II, 2)

(1) Introduzione e Note a "L'anello del Nibelungo" di Richard Wagner, a cura di Larry Brown(http://www.rwagner.net/contrib/lb/i-index.html)

Fabio ha detto...

Il ritratto del “capitalista” è ora sufficientemente completo: è un ritratto fortemente unitario, un ritratto in cui – reciprocamente – “tutto si tiene”: in esso convivono una dimensione morale (per essere ciò che è deve aver rinunciato ad amore; e dell’amore può sperimentare solo la dimensione carnale), una componente economica (grazie alla rinuncia erotica può accumulare un immenso tesoro), una psicologica (freudianamente, costui investe la libido, eroticamente repressa, sottoforma di violenta aggressività): tutte queste componenti convergono su un immediato connotato politico (la sua ricchezza è il mezzo, metaforicamente condensato nell’immagine-simbolo dell’anello, per realizzare la propria volontà di potenza, per conquistarsi e dominare il mondo) attraverso precise implicazioni pratiche(l’asservimento della tecnologia). Insomma, in estrema sintesi: Wagnervien spiegandoci che il più ricco vuol comandare incondizionatamente, e che da costui non ci si può che aspettare certe caratteristiche di degradomorale ed umano, perché proprio in forza di quelle ambisce al comando.
La già rilevata simmetria Wotan/Alberich comporta che, assai più nascostamente e con i “distinguo” già rilevati – l’atteggiamento benevolente verso amore, il (dichiarato) disgusto morale nei confronti della meschinità, la “sovrana” altezza di tono nell’espressione – non pochi dei tratti che qualificano Alberich - siano rilevabili anche nel capo degli dèi: della cui piùblanda aggressività contronatura si può ben concedere che stia a quella, virulentissima, di Alberich negli stessi termini in cui il dominio feudale-aristocratico si pone rispetto a quello, ben più aggressivo, della società mercantile e della classe borghese, ma a patto di riconoscere, al tempo stesso, che a Wotan un’aggressività paragonabile a quella di Alberich non è necessaria perché egli ha già asservito il mondo, dovendo conseguentemente preoccuparsi solo di conservare, di perpetuare il proprio dominio, non di affermarlo a spese altrui, spodestando chi il potere già lo detiene.
Taluni dettagli della suo condotta dimostrano che, in stato di necessità, egli appare pronto a comportarsi esattamente come Alberich.
Solo l’acquisita consapevolezza della necessità della fine differenzierà – a partire dal secondo atto della Walkiria – il dio dal nibelungo, ma nelRheingold entro la mente di Wotan albergano pensieri ed intenzioni che sono quanto di più lontano si possa immaginare dal desiderio di morte che lo caratterizzerà – peraltro in maniera discontinua durante e dopo la seconda «giornata».
La differenza tra i due antagonisti, Wotan ed
Alberich, verte, in ultima analisi, assai più sullo “stile” che sulla sostanza: in fondo essi si assomigliano tantissimo. Non
dunque il loro è l’antagonismo decisivo, bensì quello natura e antinatura (presentata sottoforma di volontà di potenza) sono i veri antagonisti di questo primo dramma musicale della Tetralogia: un universo equilibrato retto dal destino e dall’istintualità – un tempo, cioè della preistoria – contro un “tempo nuovo” che avvia l’epoca intrecciata di traumi della storia, retto dal libero arbitrio, dalla negazione dell’istinto naturale, esposto al dinamismo squilibrante del
mutamento e della volontà di potenza.
Contenuto importantissimo: ciò che i due nemici si contendono, il potere, porta con sé una maledizione che nell’anello è
incastonata, che a quell’oggetto infinitamente bramato è associata indelebilmente quale necessaria
contropartita del potere che, in quanto antinatura, esso assicura al suo possessore.
La “necessità” della maledizione dice, in altre parole, che non può darsi potere senza abominio.
«Falso e vile | è ciò che lassù trionfa» («falsch und feig | ist, was dort oben sich freut!»): la chiusa verbale del Rheingold, assegnata alle “voci di natura” delle Figlie del Reno, ne
costituisce, anche concettualmente, l’ultima parola.

Tratto da: Gianni Ruffin "L'oro del Reno: guida alla drammaturgia e all'ascolto", FONDAZIONE TEATRO LA FENICE VENEZIA